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sabato 27 settembre 2014

Briganti, Lucania e vino Aglianico

Finiscono nel mirino dell’ironia dello scrittore Gaetano Cappelli il brigantaggio, lo stalinismo sovietico, il comunismo di Palmiro Togliatti, la scoperta del metano in Lucania, la rapida ascesa di neocialtroni nel mondo contemporaneo, in cui il successo è legato al marketing, alla propaganda, ai circuiti mediatici.
Il lungo titolo del romanzo di Cappelli è tutto un programma: Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo.
L’abile incastro delle vicende storiche delle famiglie e dei personaggi consente all’autore di rivisitare in chiave umoristica fenomeni complessi, ridotti a gustose storie di briganti, ad utopie infrante nella gelida Russia di Stalin, a contadini raggirati in occasione della scoperta del metano in Lucania.
I protagonisti maschili sono tre ex compagni di scuola. Riccardo Fusco, un ricercatore con la carriera stroncata da un barone universitario ostile. Giacinto Celeste, un mediocre pittore, che ottiene successo per il sostegno di Graziantonio   Dell’Arco, uomo d’affari, spregiudicato cialtrone rampante.
I personaggi femminili sono Eleonora, moglie di Fusco, donna di teatro di modesto successo. Chatryn, una antropologa italo – americana che ha una relazione sentimentale con Fusco in occasione di un suo progetto di ricerca in Basilicata, realizzato su mandato di una Università americana.
Il vino Aglianico fa la sua comparsa, allorché Graziantonio Dell’Arco affida a Fusco il compito di valorizzare questo prodotto della sua azienda agricola, avvalendosi della preziosa collaborazione di Chatryn, divenuta una enologa di prestigio mondiale che sarebbe in grado di inserire con un suo articolo l’Aglianico tra i più pregiati vini del mondo.
Tutto procede in modo farsesco con colpi di scena e situazioni spassose.
Il tentativo di Fusco tuttavia finisce alle ortiche proprio nel momento in  cui l’obiettivo era quasi raggiunto. Una telefonata imprudente compromette il suo rapporto sentimentale con Chatryn e conseguentemente viene meno l’articolo favorevole sul vino prodotto dall’azienda agricola di Graziantonio Dell’Arco.
A Fusco non rimane che rassegnarsi ad essere uno dei tanti, un mediocre intellettuale di provincia, che si occupa delle quattro figlie senza la moglie, che lo lascia definitivamente per dedicarsi alla carriera teatrale.
Riccardo Fusco sembra l’inetto della modernità, il fallito che si vede scavalcato da mediocri cialtroni, furbi, spregiudicati e disposti a tutto pur di conseguire successo e denaro.


Gaetano Bencivinni

lunedì 22 settembre 2014

Il velo di Safia

Il terzo ripudio nel mondo islamico significa divorzio automatico e definitivo. Una donna ripudiata diventa una macchia per la famiglia e per i parenti e viene emarginata socialmente. Le donne hanno l’obbligo di portare il velo e devono sottoporsi alla circoncisione.
Con questi problemi si misura la protagonista femminile del romanzo Divorzio all’islamica a viale Marconi dello scrittore algerino Amara Lakhous.
L’egiziana Safia è costretta a portare il velo anche a Roma. Le viene imposto dal marito Felice, anche lui egiziano, musulmano ortodosso, architetto che si adatta a fare il pizzaiolo in un ristorante romano a viale Marconi.
Lo scrittore descrive con umorismo ed ironia le vicende di Safia, che sarà ripudiata dal marito per gelosia.
Il merito di Lakhous è quello di far conoscere al lettore la complessità delle abitudini e dei comportamenti degli immigrati arabi attraverso un linguaggio leggero, efficace e coinvolgente.
La storia di Safia si intreccia con quella del siciliano Christian, detto Issa, inviato a Roma dai servizi segreti italiani con il compito di infiltrarsi tra gli immigrati islamici per sventare un agguato terroristico, che sarebbe dovuto scoppiare a viale Marconi.
Lakhous con il sorriso distaccato dell’artista descrive il palpito vitale che si ritrova nei personaggi oltre la corteccia delle convenzioni e delle diversità religiose, culturali e sociali.
La narrazione procede attraverso l’intreccio delle vicende dei due protagonisti, che per circostanze fortuite hanno modo di incontrarsi con il risultato che tra di loro scoppia la scintilla dell’amore.
Il romanzo si fa apprezzare anche per un finale sorprendente in piena sintonia con l’impostazione complessiva della struttura narrativa, che privilegia l’umorismo, l’ironia e il sorriso.


Gaetano Bencivinni 

mercoledì 17 settembre 2014

Un tuffo nella vita

Quando gli intellettuali hanno la pretesa di spiegare in modo univoco la realtà, si scontrano con la complessità del reale, refrattaria alla teoria dei modelli e vorace di modelli sempre nuovi e sofisticati. Il reale non è razionale, ma è in continua trasformazione e richiede sempre nuovi modelli interpretativi.
Il romanzo di esordio dello scrittore inglese Charles Dickens, Il circolo Pickwick si muove lungo questo filo conduttore, che illumina la non corrispondenza tra la teoria e la pratica, tra le certezze scientifiche e le tante sorprese insite nella realtà.
Il buon Pickwick, fondatore del circolo che porta il suo nome, si pone l’obiettivo di conoscere i caratteri e i costumi della provincia inglese del 1827 ed insieme a tre soci, uno sportivo, un poeta ed un servitore, promuove un viaggio conoscitivo della realtà sociale con la pretesa di applicare ad essa il metodo della sua teoria sui girini.
La narrazione procede in modo umoristico e satirico e talora diventa patetica, quando Pickwick finisce in carcere per debiti.
Il messaggio che viene fuori dal romanzo è che la complessità della vita consente a Pickwick  di rendersi conto della ristretta angolazione del suo punto di vista scientifico, essendo la vita un mare aperto ricco di insidie, di sorprese e di novità nascoste dietro ogni onda.
Lo scrittore inglese, come il vecchio filosofo Eraclito, ripropone l’esigenza di considerare il reale come dinamico ed in continua trasformazione: tutto cambia  e nessuno può bagnarsi due volte nella stessa acqua.


Gaetano Bencivinni

Vendemmia

Stampato Vendemmia il libretto a cura di Gaetano Bencivinni con la realizzazione grafica di DGM Informatica di Daniele Maltese di Cetraro.

lunedì 8 settembre 2014

John Silver e la caccia al tesoro

Fare quattrini a palate e spendere allegramente per tutta la vita.
Con questa bussola ideologica borghese salpa da Bristol intorno alla metà del 1700 una goletta, messa a disposizione da un cavaliere britannico, con a bordo una ciurma composita con bucanieri infiltrati sotto l’abile regia dello spregiudicato John Silver, personaggio ambiguo,  opportunista e senza scrupoli del romanzo L’isola del tesoro di Robert L. Stevenson.
La ciurma, istigata da Silver, si ammutina, allorché la goletta approda in quella maledetta isola in cui il terribile capitano Flint aveva nascosto il suo tesoro, accumulato con sanguinari atti di pirateria.
Il romanzo si fa apprezzare per lo spirito di avventura che lo attraversa. E’ particolarmente interessante tuttavia l’intreccio delle vicende, alimentato dalla forza attrattiva del denaro, che è la vera divinità al cui altare si possono tranquillamente sacrificare valori e principi. Unica regola è mettere le mani sul tesoro anche se bisogna passare attraverso crimini, inganni e tradimenti.
La figura di Silver è da questo punto di vista emblematica e ricorda molto da vicino il galeotto Vautrin del romanzo Papà Goriot di Honorè de Balzac.
Entrambi i personaggi tessono le lodi dell’ambizione personale, della ricerca del successo, dell’accumulazione delle ricchezze su cui costruire la scalata sociale e il quieto vivere.
In Silver come in Vautrin si individuano i tratti distintivi della figura del borghese, che si affaccia prepotentemente nella storia con la forza dirompente della caccia al tesoro, del perseguimento del massimo profitto, della perversa logica dell’avere senza tener conto di regole morali che vanno asservite al cinico obiettivo  di fare quattrini.


Gaetano Bencivinni

giovedì 4 settembre 2014

Pereira come Pinocchio

Un romanzo è un bel romanzo quando  ti tiene legato  e il supporto libro diviene una tua appendice. Lo tieni sul comodino, lo porti in cucina ,quando ti svegli, lo tieni in soggiorno. Pronto a sbirciare, a seguire il filo del raccontare perché la realtà della storia che stai leggendo ti cattura, ti appassiona come e a volte più della vita reale.
Un romanzo è un bel romanzo quando ti porta ad esplorare la realtà della tua esistenza e ti fa capire un po’ di più di come sei e di come stai vivendo e ti conduce alla ricerca della Verità.
Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi ha entrambe queste caratteristiche. Come un ruscello in piena, le frasi, i periodi scorrono senza tante interruzioni, come scorrono i tuoi pensieri. Scorrono ma descrivono, raccontano,delineano  con le parole personaggi, ambienti, situazioni, gesti, posizioni, inquadrature come fa il regista di un film.
Siamo a Lisbona, in pieno regime salazariano fatto di insulsaggine, ottusità, violenza. Un piccolo giornalista di un giornale locale con un linguaggio “politicamente corretto” pubblica solo notizie culturali. Non si occupa di politica. Conduce una vita routinaria, fatta di cibi sempre uguali: omelette e limonate. Non ha significative relazioni sociali, interloquisce sono col ritratto della moglie morta. Non ha figli. Ha rimosso sogni , speranze, gioie della giovinezza, quando era universitario a Coimbra.
 Ma ecco che la vita, fatta di passione, bisogni, sogni , irrompe nella sua bigia esistenza nelle vesti di due ragazzi che clandestinamente  lottano contro il regime.
Allora comincia lentamente ad esistere. Esce fuori da se stesso. Un tarlo comincia a roderlo e  buca la botte in cui si era rinchiuso. Ricomincia a vivere. Comincia un percorso di iniziazione alla vita vera. Riprende in mano le fila della sua esistenza. Comincia un percorso di iniziazione che lo farà uomo.
Come Pinocchio da burattino diventa bambino.
 Allora rompe con la routine, trova la forza di opporsi e va, parte.


Rosa Randazzo