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venerdì 31 gennaio 2014

L'utilità dell'inutile

Teatro, cinema, televisione, web. Una successione discontinua di linguaggi, che hanno cambiato le abitudini, i modi di essere e di pensare, i modi di comunicare e di fare arte.
Quando il nuovo avanza, il vecchio resiste, si oppone, si indigna, si rassegna, si adatta, si contamina e si rinnova.
Nel romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, l’immenso scrittore siciliano Luigi Pirandello spara a zero sul cinema, nuovo mostro della modernità, che si afferma con il potere delle macchine e con quel progresso che tende a trasformare l’uomo in schiavo della tecnologia e dell’artificio.
Pirandello resiste, si oppone, si contamina. Non a caso nell’ultimo scorcio della sua attività anche il grande scrittore cede al fascino del cinema e comincia a collaborare.
Con l’avvento della televisione, un nuovo mostro sacro irrompe con prepotenza sulla scena della comunicazione e detta le sue regole. Anche in questo caso, come aveva già fatto Pirandello con il cinema, si tuona contro la stupidità, le idiozie e la spazzatura della modernità.
Un grande maestro del cinema Federico Fellini si indigna per la prepotente irruzione della pubblicità nei capolavori cinematografici e spara a zero contro questa mostruosa forma di istupidire la gente e di ridurne le capacità di godere del messaggio artistico del prodotto filmico. In Ginger e Fred e ne La voce della luna Fellini critica la televisione, ma con Prova d’orchestra anche il grande maestro di Rimini collabora con questo nuovo mostro, di ci subisce il fascino, girando persino un noto spot pubblicitario per la Barilla.
Si può dire anche in questo caso che il regista si oppone, ma infine collabora con il nuovo che si afferma. Oggi un nuovo spettro si aggira nel pianeta della comunicazione. Anche per il web si tuona contro la stupidità, le idiozie, il tentativo di far naufragare l’uomo nella solitudine del virtuale. I film finiscono nei DVD, spesso vengono scaricati da pirati informatici, si afferma un nuovo rapporto con le informazioni e le conoscenze, si va verso nuovi orizzonti e verso nuove contaminazioni.
Insomma, il percorso del superfluo procede in modo lineare lungo il filo che avvolge il mistero della vita, fatto di illusione e realtà, di vanità e di incertezze, di finzioni e di sogni.
La ricerca dell’inutile superfluo continua ad essere quella malattia che tormenta la mente dell’uomo che, per dirla con Pirandello, non intende continuare a vivere con i soli bisogni della bestia.
Se l’arte è inutile per i bisogni corporei e materiali,è un nutrimento indispensabile per l’anima, che serve a dare un senso alla vita, vero unico meraviglioso spettacolo irripetibile.

Gaetano Bencivinni

domenica 26 gennaio 2014

Mi chiedevano caramelle


   Fornire a chi non è mai stato in Terra Santa l’opportunità di fare una esperienza  mediata di quei luoghi.
Questo il principale obiettivo che si è posto Luigi Leporini nello scrivere il libro “In Terra Santa. Pellegrinaggio alle radici della nostra fede”, Editoriale Progetto 2000. Obiettivo centrato in pieno.
Quei luoghi li vedi attraverso gli occhi dell’autore, li percorri insieme a lui, attraverso la sua rievocazione. La sua esperienza non è più solo sua ma diventa anche la tua, nuova, diversa, ma non meno intensa.
Questo commento- recensione   vede le due esperienze intrecciate, fuse insieme.
   Significativa e pregnante la dedica  riportata come incipit, chiave di lettura di tutto il testo: Ai bambini di Palestina, assetati di pace, che mi chiedevano le caramelle e ai quali non ho dato di più.
E’ così che accade quando ci si accosta al Vangelo di Cristo, è così che è accaduto all’autore che ha ripercorso i luoghi in cui Cristo è vissuto e morto. Ci si sente piccoli, non ci si accontenta del cristiano che si è. Si sente che si potrebbe fare di più. Si vorrebbe fare di più. E’ciò che accade all’autore. Egli percepisce che la richiesta di caramelle ne nasconde un’altra impellente, la richiesta della pace, urgente in una terra martoriata da una lunga, interminabile guerra. In una Terra in cui è nata la Pace che gli uomini non hanno accolto.
   All’esperienza tutta interiore dell’autore fanno da contrappunto riflessioni,veloci come stilettate, sulla situazione politica e sociale dei luoghi “calpestati e, in certo senso, trasfigurati” da un uomo chiamato Gesù, nel quale il divino si è manifestato.
All’autore non importa disquisire sui torti e le ragioni. Si addolora e si rammarica e per la triste vita dei Palestinesi  e per Israele cui “qualcuno nega il diritto di esistere”.
Le tappe si susseguono l’una all’altra: Tel Aviv, Cesarea Marittima, il Monte Carmelo, Nazareth, Cana.
I luoghi rimandano al Vangelo, il Vangelo ti riporta nei luoghi. Forte emerge il disappunto per le trasformazioni ‘esasperate’ prodotte nei luoghi tante volte immaginati, tante volte plasmati.
A Cana i pellegrini rinnovano le promesse coniugali “ fino a che morte non vi separi.” Su un muro di pietre a vista troneggiano tre giare. Le giare dell’acqua trasformata in vino simbolo della gioia e della nuova  alleanza nell’amore che sostituisce la vecchia  alleanza nella Legge che produceva  tristezza perché mancava il vino dell’amore. Gesù a Cana offre solo un assaggio del suo vino perché non era ancora giunta la sua ora: l’ora della sua Pasqua, l’ora in cui offrirà il suo Spirito.
Il pellegrinaggio continua: il Monte Tabor,  Nazareth, Cafarnao, Tabga, il monte delle beatitudini, il lago di Genezaret.
Come non naufragare in cotanto mare!
Il pellegrino allora diviene spettatore privilegiato dello splendore di Gesù trasfigurato e ascolta: Xaire Maria! Beve alla fontana dove Maria andava ad attingere acqua, ode la voce del Maestro che nella sinagoga di Cafarnao insegna “come uno che ha autorità” e diviene spettatore della divisione dei pani, della condivisione che elimina il bisogno. Sente risuonare la proclamazione di tutte le beatitudini che sconvolgono “i canoni delle ordinarie concezioni umane” .
Le beatitudini, fede vissuta, segni della vita nuova, esempi di ciò che avviene quando il Regno di Dio erompe in questo mondo ancora dominato dalla morte e dal peccato.
Sul lago di Genezareth la voce di Leporini diviene poesia, il linguaggio più adatto per esprimere lo stupore:
Ci sentiamo/ cittadini del mondo,/ pulviscolo immerso nell’universo infinito/ fratelli di tutti i credenti,/ di chi non crede,/di chi crede in modo diverso,/seguaci di quel Gesù/ di cui queste acque parlano,/di cui sentiamo la presenza.
Il linguaggio più adatto per esprimere il rendimento di grazie:
Grazie, Signore, di averci consentito di arrivare fin qui da lontano a respirare l’aria che qui hai respirato, uomo fra gli uomini.
Grazie, per  averci concesso di venire sin qui a saziare lo sguardo nella mistica bellezza di questo luogo, a verificare e alimentare su queste acque a te care la fragilità della nostra fede.

   Il pellegrinaggio continua. Noi ci fermiamo qui. Il resto è affidato all’immersione del lettore nelle pagine coinvolgenti dello scrittore cetrarese per una esperienza tutta personale.




di Rosa Randazzo

La lingua è una nave in mezzo al mare


“La lingua è una nave in mezzo al mare e non più in cantiere”.  Luigi Leporini nel suo ultimo volume “Cose nostre” ha fissato un momento di questo vagare, prima che la nave  si disperda nel grande mare della vita che scorre inesorabile e si trasforma e cambia ormai così velocemente in questo nostro mondo globalizzato che non sai più per certo ciò che è tuo e ti appartiene e ciò che è d’altri e comincia solo ora ad appartenerti.
Il linguaggio, che la vita esprime e  la vita racconta, è variabile, mobile,  si salda pertanto ad una ricerca umana più totale.
L’autore  ha raccolto indovinelli, modi dire, canzoni, proverbi, preghiere  nati forse a Cetraro e forse no, forse arrivati da altri porti e da altri lidi toccati dalla nave del linguaggio, per continuare ad usare l’efficace metafora di Ferdinand de Saussure. Molti sono infatti i detti raccolti a Cetraro  che si ritrovano in altre regioni d’Italia, pur con qualche variante. Ciascuno di noi può individuarne pochi o tanti.
Il Leporini, amante e ricercatore di “ Cose nostre” consegna agli studiosi del folklore ed a noi tutto questo, che è nostro,  che ci appartiene perché  lascia trasparire la vita di chi ci ha preceduto in questa nostra terra : sorrisi, gemiti, voci,  fatiche, paure, sogni, preghiere.
E’ una vita semplice quella che traspare con un’economia basata su agricoltura, pastorizia e sul mare.
Molti i detti che accennano al mare con i vuozzi, i scuogli, lli palummi, a varca, u pisci. Andando più a fondo  notiamo, però, che al medesimo significante ( mare) non corrisponde lo stesso significato.
Mare non ha sempre il significato di distesa di acqua salata. Questa identica distesa ha più spesso un significato metaforico, viene utilizzata per dire altro.
Viene utilizzata per dire ora l’ossequio all’abbondanza, al potere, al successo: Duv’jjè lu mari ‘u jjumi curre
 Per dire il rischio,  le difficoltà, la prova: Chi si jette a mari, ha da sapì natà; Vuogliu passà lu mari ccu ‘na canna, / ppe’ scanaglià lu cori ‘i Marianna./ Vuogliu passà lu mari ccu ‘na canuccia,/ ppe’ scanaglià lu cori ‘i Mariuccia.
Per dire distacco, separazione: Da la finestra mia vidu lu mari, /tutti li vuozzi  ji vidu venì,/  ma chill’amuri miu no vvene mai.
Per dire quiete …..
Ora  il segno mare è solo il pretesto verbale per fare rima e introduce personaggi e oggetti che non hanno nessuna attinenza col mare, ampia distesa di acqua salata: Mi l’hanu dittu ca lu mar’è d’uògliu/ jiucati a marità ca no’ tti vuògliu.
Certamente questi testi citati ci consentono di ricavare solo alcuni valori che il mare assume nella vita dei portatori  e dei fruitori di questi detti. Certamente il mare è molto di più per quei Cetraresi che di mare hanno vissuto e vivono.
Noi cogliamo solo alcuni significati di questi detti come delle altre tradizioni orali arrivate sino a noi e amorevolmente trascritte dall’autore. Certamente noi possiamo talvolta fare solo ipotesi sul contesto in cui i detti sono nati, come pure sul livello di comprensione che ne hanno avuto i fruitori nel tempo.
Un detto che l’autore inserisce tra i proverbi in particolare mi ha colpito: U Diu di l’animali è l’omu. Ad esso io attribuisco un’origine biblica. Origine che certamente era nota ai produttori ed ai fruitori del tempo e del luogo in cui il proverbio è nato. Certamente essi avevano dimestichezza con i testi biblici e sapevano dell’importanza  della ‘parola’ e del ‘ dare il nome’ nella cultura ebraica e nel testo della Genesi.
I fruitori, nel tempo,  ne hanno compreso a fondo il senso e l’origine?
L’uomo è il dio degli animali perché Dio gli ha consentito di dare il nome agli animali viventi, divenendone così signore e padrone. Dio ha eletto l’uomo sopra ogni altra creatura, ha chiamato lui, l’essere prediletto poiché fatto a sua immagine, a esercitare quel ruolo di predominio che, nella Bibbia, costituisce il suo compito, e, insieme, il suo destino.
 Origini ancestrali ha anche la concezione della parola non soltanto mezzo di comunicazione ma realtà cui si riconosce potere, perché agisce efficacemente sulle cose. Può risanare e distruggere, può allontanare il male e far venire il bene.
Benedica!, Fora i tutti, Signuri! Fora i cca , sono solo alcune delle espressioni “magiche” che troviamo nel nostro testo e che sentiamo pronunciare ancora oggi tanto spesso.
E’ una vita semplice quella che traspare dal testo, abbiamo detto, una vita fatta di contiguità, di sentimenti e atti semplici, di solidarietà. Basti pensare ad usanze ormai quasi scomparse o che hanno perduto il significato originario: il Sangiovani, ‘u cuònzulu,a gallina, ‘u tartiegnu, u’muccaturu.
Gustosi quadretti di vita paesana prendono vita davanti ai nostri occhi, esperienze e sogni di bambini, cui non erano ancora stati imposti bisogni posticci, come il piccolo Leporini che sognava di suonare la campana di San Nicola.

Il testo contiene tutto questo ed altre chicche tutte da scoprire e da gustare che l’autore riporta, secondo il nostro giudizio, con la penna del ricercatore appassionato né ripiegato verso il passato né interessato, come dice egli stesso nel capitolo primo, a “ mettere a confronto il vecchio e il nuovo ai fini di un giudizio di merito”.  Non è solito dare giudizi di merito il nostro autore, consapevole, forse, che “città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dei che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dei estranei. E’ vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi ” come afferma Italo Calvino parlando di Maurilia, una delle città invisibili, inserita nella raccolta “La città e la memoria”.

di Rosa Randazzo

sabato 25 gennaio 2014

Per non dimenticare... che la ragione genera mostri


“La ragione produce mostri” è la sintesi che vuole richiamare, da un lato, il tema affrontato da Goya nella sua opera “Il sonno della ragione produce mostri” capovolgendone il significato nel suo contrario in quanto le cause di una tragedia umana come Shoah sono da ricercarsi soprattutto nelle forme di ragione maturate già dall’Illuminismo e non ancora svanite.
In definitiva è necessario andare oltre gli aspetti emotivi, seppure devastanti, legati alla tragedia per decostruire il problema cogliendone le cause prioritarie:
- nella mentalità positivista/evoluzionista emergente con la sua fiducia sproporzionata nella scienza e nella tecnica, con la radicalizzazione del concetto di razza, con il trionfo dei consumi di massa,
- nelle forme ideologiche proprie del nazismo quali la volontà di potenza e lo spazio vitale.
Punto di partenza le testimonianze, i tentativi di dimenticare e/o di sdrammatizzare il suo significato storico-politico, il domandarsi come evitare che una tale tragedia possa ancora ripetersi per comprendere anche che la disumanizzazione ad opera del carnefice provoca il suo stesso annientamento come essere umano. 
Solo considerando l’uguaglianza nella diversità e la condivisione nel dialogo democratico, riconoscendo l’altro come fratello, si può riuscire ad emanciparsi da stereotipie, luoghi comuni, egoismi che intrappolano la speranza di una vita nella pace per un vivere civile che, invece, áncori le sue leggi nella legittimità e ponga l’umanità al centro di ogni azione.

Francesca Rennis


Primo Levi e il canto di Ulisse

Una zuppa di cavoli e rape attende Levi e il piccolo amico alsaziano. Un’ora di strada li separa dalla meta. È tardi: ogni attimo va vissuto intensamente.
Il canto di Ulisse, rimasticato tra buchi di memoria e spezzoni di versi, li accompagna nell’orrido sentiero del campo di Auschwitz.
Una lingua di fuoco barbaglia parole tremende nell’oceano dell’odio, che tutto sommerge.
Spingersi oltre la frontiera, varcare le colonne d’Ercole, attendere il lampo che squarcia la nave nel mare aperto dove tutto si perde.
Aprite le orecchie e la mente: fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.
Parole dense di significato, che perdono il senso nella palude infernale del lager polacco.
Per non dimenticare, c’è da chiedersi Se questo è un uomo, se la palude è scomparsa, se la nave riaffiora e riprende il suo corso.


di Gaetano Bencivinni

venerdì 24 gennaio 2014

Per non dimenticare... che la ragione genera mostri


Shoah

Ombre lontane
s’avvicinano
al passo trionfale della morte.

Tiepide aurore
non saranno più soli.
Lugubri brusii
emersi da un oceano
di onde tecnologiche
come vivide parole
falciano sogni e vita.

Sentieri spianati
da una legalità che puzza di marciume
dove l’uomo perde la propria essenza
e la storia trova la sua rivolta
nella vittima che annienta il carnefice.

Francesca Rennis

giovedì 23 gennaio 2014

 

 

 

 

Globale e Locale

Leggere la realtà circostante con strumenti culturali globali al fine di evitare la deriva dei localismi e l'astrattezza dei globalismi.


Passato e Presente

Ricordare il passato, le tradizoni e le storie per farli rivivere nel presente con l'ottica di chi è abituato a frequentare il futuro.


Nuovi Linguaggi

Utilizzare i nuovi linguaggi per catturare l'attenzione dei giovani e per abituare gli anziani a conoscere i nuovi sentieri in cui cresce la creatività dei giovani.

sabato 11 gennaio 2014

Benvenuti

Benvenuti nel blog ufficiale del Centro Sociale Anziani di Cetraro.
Chiunque sia interessato a conoscere le attività del centro può cliccare nelle sezioni di seguito indicate:

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