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venerdì 31 ottobre 2014

Il brigadiere Lagandara e Padre Cricco

È l’ultimo testo narrativo di Leonardo Sciascia il breve romanzo Una storia semplice, che ruota intorno all’assassinio del diplomatico Giorgio Roccella, rientrato in Sicilia da Edinburgo dopo 15 anni, per cercare vecchie lettere di Garibaldi e di Pirandello nel solaio della sua villa, pressoché abbandonata. Lì trova un noto dipinto derubato. Si allarma e chiama la polizia. Arriva invece il suo assassino.
Con stile asciutto e di grande efficacia comunicativa, l’autore narra le vicende del giallo da cui traspare tutta l’amarezza di Sciascia che punta il dito sull’incapacità dello Stato a fronteggiare l’azione criminale della mafia.
Un commissario corrotto e connivente con le cosche mafiose, un magistrato negligente ed imbelle, la sterile competizione tra L’Arma dei carabinieri e il Corpo di polizia, che fanno le stesse cose, si pestano i piedi e finiscono con il perdere di vista la verità. Inutile il tentativo del brigadiere Lagandara che prova a mettere nei giusti binari le indagini, ma viene sistematicamente zittito dal Questore e dal Commissario capo della polizia giudiziaria.
Particolarmente inquietante la figura di Padre Cricco, un prete assassino, organico alla mafia.
Una storia semplice e in linea con i romanzi Il giorno della civetta e A ciascuno il suo.
I tre romanzi sono accomunati dalla costante preoccupazione dello scrittore siciliano sull’incapacità degli apparati statali, inquinati da infiltrazioni mafiose, a garantire la piena funzionalità della Giustizia.
Nel romanzo Il giorno della civetta le indagini del Capitano Bellodi sono vanificate dalle potenti amicizie politiche di cui dispone il capomafia don Mariano Arena. In A ciascuno il suo il tentativo del professor Laurana di scoprire la verità sull’assassinio degli amici Manno e Roscio si conclude tragicamente in una zolfara abbandonata dove viene gettato da un sicario della mafia.
Tutto lascia pensare che per Sciascia la Giustizia non abbia nessuna possibilità di successo. Non è così.
I Bellodi, i Lagandara, i Laurana rappresentano invece quello spiraglio di speranza, che tiene il lettore lontano dal baratro della rassegnazione.
Il cretino non è Laurana, come afferma don Luigi alla fine di A ciascuno il suo. Per Sciascia i cretini sono quelli che sanno e non parlano. I cretini sono quelli che fanno l’inchino al potere mafioso.


Gaetano Bencivinni

martedì 28 ottobre 2014

Cronache mediorientali di Robert Fisk


Leggere questo libro è come vedere un affresco dipinto da un testimone oculare di tutte le tragedie che hanno distrutto interi popoli nel secolo scorso e nell'attuale in questa povera regione del mondo chiamata medio-oriente. Robert Fisk è stato corrispondente di molti giornali inglesi ed americani come The Independent ed il Times ed ha potuto vedere e vivere da molto vicino guerre e ribellioni offrendo così al lettore la possibilità di conoscere una realtà spesso sentita come "altro".
Il problema dell'Islam è rappresentato non solo dal punto di vista religioso ma anche economico e politico e Fisk ha descritto con prosa facilmente comprensibile e leggibile le tragedie degli Armeni, dei Palestinesi, degli Afgani, degli Iracheni, degli Iraniani e di molti altri popoli soprattutto cercando i motivi dei conflitti. Durante la lettura del libro è possibile capire il perchè del nuovo stato dell'Isis, oggi di grande attualità, ed ancora capire e spiegarsi molte altre vicende tra cui alcune già appartenenti alla storia. Il lettore, alla fine del libro, si chiederà come ha fatto ad ignorare una realtà tanto vicina a noi e pur tanto ignorata.   

Elisabetta Pelaia

lunedì 27 ottobre 2014

La marchesa con i capelli rossi

L’aristocrazia nobiliare siciliana, aggrappata ai privilegi feudali, legata a filo doppio alla questione vitale delle eredità e dei matrimoni di convenienza, occupa un ruolo centrale nel romanzo La zia marchesa della scrittrice Simonetta Agnello Hornby.
L’adesione dei picciotti ai garibaldini, il rapporto tra nobili e mafiosi, la rivolta popolare del Sette e mezzo a Palermo, l’accaparramento dei beni confiscati alla Chiesa, lo splendore della nobiltà palermitana sino ai Fasci siciliani fanno da cornice storica alle vicende della nobile famiglia dei Safanita, di cui Costanza, la marchesa con i capelli rossi, è la protagonista principale.
Matrimoni tra consanguinei, figli bastardi, diverbi inconciliabili tra fratelli per l’eredità, rotture definitive tra parenti per motivi di interesse. E poi. Il tormentato rapporto sentimentale tra Costanza e il marchese Pietro Patella Sabbiamena, i perversi intrighi della serva Rura, gli efficaci dialoghi tra il cocchiere don Paolo Mercurio e l’amico Gaspare Quagliata, lo scandaloso amore tra il primogenito Stefano Safanita e la popolana Filomena Carcarazzo, che darà vita a contrasti insanabili con conseguenze anche tragiche per i contrasti mafiosi tra i Carcarazzo e la cosca dei Tignuso, fedele ai Safanita.
La narrazione procede con un linguaggio efficace, ricco di espressioni dialettali, che fanno da tessitura al romanzo anche attraverso proverbi e modi di dire siciliani, utilizzati come bussola e chiave di lettura in ogni capitolo.
L’espediente letterario utilizzato dalla scrittrice è il racconto della balia Amalia Cuffaro alla nipote invalida Pinuccia Berice in una grotta della Montagnaccia dove si rifugia la balia di Costanza, licenziata dal barone Giacomo dopo la prematura morte della marchesa con i capelli rossi, avvenuta all’età di 36 anni.


Gaetano Bencivinni

martedì 21 ottobre 2014

Pubblichiamo in memoria del nostro carissimo collaboratore Luigi Leporini, recentemente scomparso, la nota di Rosa Randazzo al suo volume In Terra Santa. Pellegrinaggio alle radici della nostra fede, offerto dalla famiglia agli amici il 21 ottobre in occasione del suo funerale.



Mi chiedevano caramelle


Fornire a chi non è mai stato in Terra Santa l’opportunità di fare una esperienza  mediata di quei luoghi.
Questo il principale obiettivo che si è posto Luigi Leporini nello scrivere il libro “In Terra Santa. Pellegrinaggio alle radici della nostra fede”, Editoriale Progetto 2000. Obiettivo centrato in pieno.
Quei luoghi li vedi attraverso gli occhi dell’autore, li percorri insieme a lui, attraverso la sua rievocazione. La sua esperienza non è più solo sua ma diventa anche la tua, nuova, diversa, ma non meno intensa.
Questo commento- recensione   vede la mia esperienza di lettrice e l’esperienza dell’autore intrecciate, fuse insieme.
 Significativa e pregnante la dedica  riportata come incipit, chiave di lettura di tutto il testo: Ai bambini di Palestina, assetati di pace, che mi chiedevano le caramelle e ai quali non ho dato di più.
All’autore, che ha ripercorso i luoghi in cui Cristo è vissuto e morto è accaduto ciò che accade quando ci si accosta al Vangelo di Cristo.
Ci si sente piccoli, non ci si accontenta del cristiano che si è. Si sente che si potrebbe fare di più. Si vorrebbe fare di più. E’ciò che accade all’autore. Egli percepisce che la richiesta di caramelle ne nasconde un’altra impellente, la richiesta della pace, urgente in una terra martoriata da una lunga, interminabile guerra. In una Terra in cui è nata la Pace che gli uomini non hanno accolto.
 All’esperienza tutta interiore dell’autore fanno da contrappunto riflessioni,veloci come stilettate, sulla situazione politica e sociale dei luoghi “calpestati e, in certo senso, trasfigurati” da un uomo chiamato Gesù, nel quale il divino si è manifestato.
All’autore non importa disquisire sui torti e le ragioni. Si addolora e si rammarica e per la triste vita dei Palestinesi  e per Israele cui “qualcuno nega il diritto di esistere”.
Le tappe si susseguono l’una all’altra: Tel Aviv, Cesarea Marittima, il Monte Carmelo, Nazareth, Cana.
I luoghi rimandano al Vangelo, il Vangelo ti riporta nei luoghi. Forte emerge il disappunto per la trasformazioni ‘esasperate’ prodotte nei luoghi tante volte immaginati, tante volte plasmati.
A Cana i pellegrini rinnovano le promesse coniugali “ fino a che morte non vi separi.” Su un muro di pietre a vista troneggiano tre giare. Le giare dell’acqua trasformata in vino, simbolo della gioia e della nuova  alleanza nell’amore, che sostituisce la vecchia  alleanza nella Legge che produceva  tristezza perché mancava il vino dell’amore. Gesù a Cana offre solo un assaggio del suo vino, perché non era ancora giunta la sua ora: l’ora della sua Pasqua, l’ora in cui offrirà il suo Spirito.
Il pellegrinaggio continua: il Monte Tabor,  Nazareth, Cafarnao, Tabga, il monte delle beatitudini, il lago di Genezaret.
Come non naufragare in cotanto mare!
Il pellegrino allora diviene spettatore privilegiato dello splendore di Gesù trasfigurato e ascolta: Xaire Maria! Beve alla fontana dove Maria andava ad attingere acqua, ode la voce del Maestro che nella sinagoga di Cafarnao insegna “come uno che ha autorità” e diviene spettatore della divisione dei pani, della condivisione che elimina il bisogno. Sente risuonare la proclamazione di tutte le beatitudini che sconvolgono “i canoni delle ordinarie concezioni umane” .
Le beatitudini, fede vissuta, segni della vita nuova, esempi di ciò che avviene quando il Regno di Dio erompe in questo mondo ancora dominato dalla morte e dal peccato.
Sul lago di Genezareth la voce di Leporini diviene poesia, il linguaggio più adatto per esprimere lo stupore:
Ci sentiamo
cittadini del mondo,
pulviscolo immerso nell’universo infinito
 fratelli di tutti i credenti,
di chi non crede,
di chi crede in modo diverso,
seguaci di quel Gesù
 di cui queste acque parlano,
di cui sentiamo la presenza.
Il linguaggio più adatto per esprimere il rendimento di grazie:
Grazie, Signore, di averci consentito di arrivare fin qui da lontano a respirare l’aria che qui hai respirato, uomo fra gli uomini.
Grazie, per  averci concesso di venire sin qui a saziare lo sguardo nella mistica bellezza di questo luogo, a verificare e alimentare su queste acque a te care la fragilità della nostra fede.
 Il pellegrinaggio continua. Noi ci fermiamo qui. Il resto è affidato all’immersione del lettore nelle pagine coinvolgenti dello scrittore cetrarese per una esperienza tutta personale.


Rosa Randazzo

Un libro che parla di altri libri



Un libro per parlare di altri libri, che diventa occasione per parlare, analizzandone i punti più salienti, dei libri che hanno avuto e continuano ad avere sull’autore effetti significativi, preziosi “amici” incontrati nel proprio ricco percorso di “insaziabile” lettore, capaci di suscitare emozioni e di stimolare e che, proprio in virtù di ciò, si sente il bisogno di far conoscere anche ad altri, attraverso un gesto di grande generosità, visto che è distribuito gratuitamente tramite il sito web del Laboratorio Sperimentale “Giovanni Losardo” di Cetraro. È nato così “Vendemmia”, l’ultimo libro di Gaetano Bencivinni, docente in pensione, giornalista pubblicista, nonché ideatore, fondatore e presidente dello stesso Laboratorio Sperimentale “Giovanni Losardo”. Un libro, pubblicato in questi giorni, le cui peculiarità sono anche evidenziate da una grafica molto piacevole, curata dalla DGM Informatica Sas, di Daniele Maltese, e che già dal titolo sottintende, in modo simbolico, una “raccolta di frutti”, nello specifico “i frutti” della propria lunga esperienza di lettore, che sceglie sempre in modo fortemente consapevole i testi da leggere e di cui, eventualmente, parlare, scrivendone a sua volta. Come è noto, con la fine dell’estate inizia il periodo dedicato alla vendemmia; non a caso, pertanto, questo libro è stato pubblicato a conclusione dell’estate, ma, soprattutto, a conclusione di un lavoro che lo stesso autore ha prodotto per il Centro sociale anziani di Cetraro, scegliendo i propri più significativi contributi pubblicati sul blog http://centroanzianicetraro.blogspot.it, il diario online ufficiale dello stesso Centro, ai cui soci, unitamente ai soci di Rai Senior Cosenza, il volume è, peraltro, dedicato. Il libretto riporta analisi su tematiche quali “Primo Levi e il canto di Ulisse”, “Il nichilismo di Bazarov”, “Il magico mondo dei sogni”, “Thomas Mann e il seducente dilemma della vita”, “Vautrin e gli onorati cialtroni borghesi”, “Tra gattopardi e sciacalli”. È così che si sviluppa l’intero contenuto. Si tratta, infatti, di un libro doppiamente attuale, sia per la valenza dei contenuti, sia per la sua recente pubblicazione. La valenza dei contenuti si sviluppa all'interno della nostra società e dei giorni nostri. Tutto ciò che Gaetano Bencivinni scrive altro non è, infatti, che il frutto della sua esperienza e di ciò che egli ha saputo trarre dai vari libri letti, portandolo a svilupparne determinati aspetti e personaggi, di cui coglie caratteristiche salienti e interessanti. Le vicende narrate e riportate, i personaggi analizzati sono, pertanto, sapientemente legati ai giorni nostri e, tra i vari pregi del testo, emerge chiaramente proprio l’attuale e comune “sentire” che accomuna lettore e autore e porta lo stesso lettore a un forte coinvolgimento. Il tutto ottenuto con uno stile asciutto e mirato. Bencivinni utilizza, infatti, uno stile di scrittura semplice e lineare, chiaro e comprensibile a chiunque voglia accingersi alla lettura del suo libro, mettendo in evidenza i punti cruciali di ogni testo analizzato. È un libro scorrevole, lineare e talvolta schematico. Un libro di quelli che si leggono in un attimo, che spiega una visione oggettiva dei contenuti affrontati e le riflessioni, le esperienze che hanno portato l’autore a determinate conclusioni, permettendogli di acquisire sempre nuovi elementi, ma sempre in riferimento agli esempi che riporta e alle osservazioni che ne conseguono. Le tematiche trattate vengono affrontate con lucidità e con un appropriata cognizione di ciò di cui si sta parlando. Un libro, dunque, ricco, di analisi ampiamente sviluppate, che non possono non coinvolgere anche il lettore. Leggere di altri tempi, di personaggi più o meno famosi e comprendere meglio le loro peculiarità, comprendendo meglio, al contempo, il proprio tempo e se stessi. Un libro, dunque, che contiene i segreti del leggere e le tecniche per imparare davvero ad analizzare e a comprendere ciò che si è letto.
                                                                                                       CLELIA ROVALE

domenica 19 ottobre 2014

Grottole, Lucania e Muro di Berlino


A Grottole, piccolo centro della Lucania, si svolgono gli avvenimenti narrati nel romanzo Mille anni che sto qui della scrittrice Mariolina Venezia.
Il brigantaggio, le due guerre mondiali, il Fascismo, la resistenza partigiana, la Riforma agraria, la scoperta del metano a Grottole, il boom economico e i movimenti sovversivi, il sequestro di Aldo Moro e le trasformazioni sociali sino alla caduta del Muro di Berlino fanno da cornice storica alle vicende della famiglia Falcone per un arco di tempo che va dal 1861 al 1989.
Tutto inizia con don Francesco Falcone, ricco proprietario terriero, vittima dei briganti, che riesce a nascondere il tesoro di famiglia, che però sarà ritrovato solo dopo tanti anni, quando ormai non ha più valore.
Le storie familiari passano attraverso le vicende delle coppie Vincenzo e  Albina, Candida e  Colino, Giuseppe e Lucrezia, Mimmo e Clelia, Rocco e Alba, genitori di Gioia, ragazza frivola, ambiziosa, inquieta, che si sottrae al processo per manifestazioni sovversive, rifugiandosi a Parigi dove cerca fortuna come attrice e donna di mondo.
L’autrice ha il merito di combinare in modo virtuoso ed efficace le trame familiari con gli avvenimenti storici con l’attenzione rivolta ai protagonisti, che interpretano ed esprimono simbolicamente le contraddizioni della Lucania, i contraccolpi negativi che la macrostoria produce sui comportamenti dei singoli, la contrapposizione tra la staticità di Grottole e le grandi trasformazioni sociali che avvengono nel mondo in oltre un secolo di storia, particolarmente intenso di avvenimenti.
La struttura espositiva è caratterizzata da un linguaggio semplice ed efficace, spesso impreziosito da espressioni dialettali, che conferiscono un gusto particolare alla narrazione.


Gaetano Bencivinni 

venerdì 17 ottobre 2014

Il volto oscuro del capitalismo italiano

Mostra il volto oscuro del capitalismo moderno il romanzo di Luciano Bianciardi La vita agra, che vede la luce nel 1962 in pieno boom economico.
L’autore si muove controcorrente e punta il dito sugli aspetti negativi di quella fase di sviluppo, che trasformava l’Italia da Paese agricolo a società industriale avanzata.
La tragedia dei minatori maremmani del 4 maggio 1954 offre allo scrittore lo spunto per la narrazione, che ha come protagonista Luciano, un provinciale che assume la missione di punire il capitalismo, facendo saltare a Milano il Pirellone, simbolo del nuovo potere industriale.
Il romanzo è la storia di un sogno che progressivamente si infrange contro i perversi meccanismi della modernità, che assorbono e condizionano la vita di Luciano.
L’autore si avvale di un linguaggio ironico, che spesso diventa addirittura buffo. Luciano subisce sulla sua pelle la lenta ed inesorabile sconfitta di chi deve arrendersi, prendendo atto del fallimento della sua missione e del suo sogno rivoluzionario.
Un racconto amaro che evidenzia le tante ombre e le contraddizioni che lo sviluppo industriale ha prodotto ed indica il tramonto dell’illusione che il benessere possa divenire un fenomeno diffuso, esteso anche alle classi sociali tradizionalmente meno abbienti.
Bianciardi ha il merito di aver anticipato quel disagio collettivo, che si manifesterà con tutta la sua forza dirompente negli anni successivi con la contestazione globale del sistema, divenuta la molla dell’azione del movimento studentesco ed operaio negli anni compresi tra il 1968 e il 1977.


Gaetano Bencivinni

martedì 14 ottobre 2014

Il canto delle Sirene

Ascolta Odisseo il canto delle Sirene, legato al palo della nave, che solca le acque azzurre del tempo ed evita i teschi e gli scheletri di lidi malsani. Acchiappa l’istante del bello e lo conserva furtivamente nello scrigno dell’arte del superfluo.
I rematori, ignari e sordi, remano con slancio verso terre lontane dove rimbomba l’urlo cavernoso di Scilla e rumoreggia furente il gorgo di Cariddi.
Odisseo stringe la bussola di Circe, che conosce le miserie delle bestie e cede al fascino dell’ingegno, proiettato verso i misteriosi abissi dell’Ade.
Lì lo aspettano l’indovino Tiresia e l’indomito Achille, Re delle ombre.
Ha lasciato con sdegno la terra dei Ciclopi, sfidando i procellosi venti di Eolo e l’ira di Nettuno.
Non ha ceduto all’affascinante richiamo della Ninfa Calipso né al dolce invito di Nausica.
Tra piaceri e dolori, tra gioie e sofferenze, tra luci e tenebre ha guidato la zattera della sua esistenza con lo sguardo rivolto al faro di Itaca, avvinghiata dalle spire fameliche dei Proci.
Lì c’è Penelope, che tesse la tela dei sogni. Lì c’è Telemaco, che aspetta il ritorno del padre.


Gaetano Bencivinni

lunedì 13 ottobre 2014

Ghisola, la contadinella sensuale

Il ventre gonfio di Ghisola, incinta di un altro,  apre gli occhi di Pietro, che scopre così il tradimento. L’illusione crolla. Il sogno svanisce. In un attimo cessa l’amore per la donna, a lungo idealizzata.
Con questa drammatica scoperta si chiude il romanzo Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi.
Un romanzo di esordio, ambientato a Siena nei primi del Novecento, che ripropone con uno stile asciutto, realistico ed efficace il personaggio dell’inetto, che costituisce il tratto distintivo della produzione letteraria italiana compresa tra i romanzi di Italo Svevo Una vita, Senilità e la Coscienza di Zeno.
Il personaggio Pietro Rosi non ha autostima, non è in grado di misurarsi con il mondo, è sconfitto da se stesso, dalla sua malattia, dalle sue frustrazioni, dal suo fallimento.
Si aggrappa alla passione per Ghisola, una donna ambiziosa, amante delle ricchezze e del lusso degli altri, che aspira alla scalata sociale, sfruttando la sua bellezza fisica.
Pietro è una delusione per il padre Domenico, proprietario di una avviata locanda a Siena, che aspira a creare un avvenire luminoso per il figlio, che costantemente lo delude anche con i suoi ripetuti insuccessi scolastici.
Il romanzo ha il merito di offrire al lettore una narrazione realistica che trasfigura artisticamente situazioni sentimentali, emotive e psicologiche, conferendo alla struttura espositiva dell’opera letteraria un fascino particolare, che mantiene viva l’attenzione sui due protagonisti principali, che rappresentano la malattia  e l’inettitudine, la salute e la voglia di emergere nella società.


Gaetano Bencivinni

domenica 5 ottobre 2014

Il grande Gatsby e il giovane ‘Ntoni

Guardare la luce verde del futuro, stringere le piume della speranza, coltivare il sogno della scalata sociale, guidare con slancio la barca della vita contro la corrente, che spinge senza posa verso il passato.
Su questo percorso si muove la narrazione del romanzo Il grande Gatsby dello scrittore americano Franz Scott Fitzgerald.
Ambientata nei pressi di New York tra il 1917 e il 1922, l’opera letteraria di Fitzgerald punta i riflettori sul fallimento esistenziale del protagonista, che aspira alla scalata sociale, spinto dall’amore per la frivola Daisy, che vive nel mondo di successo dell’America dei banchieri, degli speculatori finanziari e degli uomini d’affari.
Gatsby, dotato di straordinaria abilità, riesce nel giro di un quinquennio ad arricchirsi, avvalendosi della collaborazione di speculatori finanziari, che gli consentono di accumulare rapidamente una grande fortuna economica al punto da poter dar vita a feste scintillanti e sfarzose nella sua bellissima casa, che accoglie quotidianamente il top della finanza statunitense.
Il sogno di Gatsby è quello di stupire Daisy e di accedere così a pieno titolo nel mondo borghese, fatto di successo e di denaro, anche se fondamentalmente negligente e vuoto.
Il sogno però si trasforma in un totale fallimento in seguito ad un incidente d’auto, provocato da Daisy, di cui Gatsby non è responsabile.
Il risultato è che il marito della donna morta nell’incidente ucciderà Gatsby, per vendicare così la morte della moglie.
Daisy ritorna con Tom, il marito arrogante ma ricco, che aveva sposato mentre Gatsby svolgeva la sua azione militare nella Grande guerra dove si copriva di onori.
Il romanzo sottolinea l’impossibilità per chi occupa i gradini più bassi della società di accedere allo stato sociale superiore.
Una situazione analoga, sia pure con condizioni storiche, sociali e culturali diverse, la ritroviamo nel personaggio ‘Ntoni de I Malavoglia  di Giovanni Verga.
Anche il giovane ‘Ntoni non accetta la condizione di miseria in cui è costretto a vivere. È stanco di rompersi la schiena a salare sarde. Non è disposto a guardare passivamente i coetanei ricchi, che all’osteria spendono e spandono a piacimento.
La ribellione di ‘Ntoni si risolve con un fallimento ancor più pesante di quello di Gatsby. Al giovane ‘Ntoni viene negata ogni possibilità di accedere alle ricchezze e il suo tentativo di uscire dallo stato di miseria si risolve in una umiliante sconfitta, che gli fa perdere persino quel mondo di miseria e di affetto in cui nel bene e nel male il nonno padron ‘Ntoni era riuscito a sopravvivere.

Gaetano Bencivinni