Translate

martedì 29 aprile 2014

Gli ingegni della Massolit

Magia nera, scope volanti, gran ballo di Satana, ciurma di diavoletti a Mosca al seguito del professor Woland , diavolo colto, raffinato e poliglotta, che è stato a colazione con Kant ed era accanto a Pilato quando si è lavato le mani.
Situazioni fiabesche, fantasiose, sorprendenti ed avvincenti animano la narrazione del romanzo Il Maestro e Margherita dello scrittore russo Michail Bulgakov.
L’autore critica e mette in ridicolo l’organizzazione culturale stalinista, che privilegia intellettuali, scrittori, artisti e letterati mediocri, conformisti e servili con il potere dominante.
Il Maestro del romanzo è un vero artista, che però viene emarginato dalla nomenclatura, non viene apprezzato dai critici letterari del regime, non riesce a pubblicare in nessuna rivista il suo manoscritto su Pilato. Disperato, getta alle fiamme il suo prodotto letterario e si reca con i suoi piedi al manicomio, all’insaputa di Margherita, sua amante ed ammiratrice.
La donna, sconvolta per la improvvisa scomparsa del Maestro, evoca l’aiuto del diavolo per ritrovarlo. Immediatamente una ciurma di diavoletti mette a disposizione di Margherita una crema di bellezza e una scopa volante che le consente di raggiungere il gran ballo di Satana. Lì, grazie alla magia diabolica, ritrova il Maestro e il manoscritto integro su Pilato.
Il romanzo si apre con un sorprendente ed ironico colloquio tra il professor Woland, il critico letterario Berlioz, direttore della Massolit, una sorta di cupola degli ingegni letterari moscoviti e il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, detto Bezdomnyj, impegnato a scrivere anche lui un romanzo su Pilato.
Seguono vicende tragiche e comiche, che mantengono viva l’attenzione del lettore. Berlioz finisce sotto un tram, che gli mozza la testa. Ivan, tra ridicoli inseguimenti e farsesche peripezie, viene condotto di forza al manicomio dove incontra il Maestro. Lì i due scrittori si confrontano su Pilato ed Ivan si convince di non essere un poeta e di aver scritto sinora versi orrendi. Dopo aver conosciuto un vero artista, non ha più senso per lui scrivere versi.
Il Maestro e Margherita è stato pubblicato postumo nel 1967 in Italia, ventisette anni dopo la morte dello scrittore. Il romanzo è stato subito un successo mondiale di critica e di pubblico.


Gaetano Bencivinni

domenica 27 aprile 2014

I quaderni di Clara

Mezzo secolo di storia cilena raccontata da Alba e da Esteban Trueba, protagonista del romanzo La casa degli spiriti della scrittrice Isabel Allende. L’espediente letterario è costituito dall’utilizzo dei quaderni di appunti di Clara, nonna di Alba e moglie di Trueba che, quasi novantenne, integra con i suoi ricordi la ricostruzione di Alba delle vicende di famiglia.
Autoritario, aggressivo, violento, Trueba rovina i rapporti con quasi tutti i suoi familiari. Colpisce, in uno scatto d’ira, con un pugno la moglie e perde così la stima, l’affetto e l’amore di Clara, che rimane sdentata per tutta la vita. Picchia a sangue la figlia Blanca, a cui non perdona la relazione sentimentale con Pedro Terzo Garcia, figlio di un suo colono. Tenta di uccidere con una scure il ragazzo, che si salva miracolosamente, anche se perde tre dita della mano destra nella colluttazione. Caccia via di casa la sorella Ferula, a cui non consente l’eccessivo affetto per Clara, prende le distanze dal figlio Jaime, considerato eccessivamente altruista e simpatizzante dei partiti di sinistra.
Clara, protagonista femminile, vive tra tavoli a tre piedi, dialoga con gli spiriti, è sempre alla ricerca di telepatie. Insomma, la sua vita si svolge in un mondo a parte, fatto di chiaroveggenza e spiritismo. Dall’età di dieci sino a diciannove anni rimane muta per scelta, profondamente scossa dall’autopsia della sorella Rosa, morta per aver involontariamente ingerito un veleno, destinato al padre da rivali politici.
L’ascesa economica e politica di Trueba avviene con la bonifica della proprietà agricola Le tre Marie, trasformata in pochi anni in una delle aziende più competitive e moderne di tutto il Cile. Esponente di spicco del partito conservatore, viene eletto senatore nel Parlamento cileno.
Il romanzo si fa apprezzare per l’intreccio virtuoso delle vicende della famiglia Trueba con gli eventi storici del Cile: la vittoria socialista con la elezione del presidente Allende e il successivo colpo di stato dei colonnelli fascisti.
Alba, amante del guerrigliero Miguel, viene arrestata dalla polizia politica e sottoposta a maltrattamenti, torture e violenze dal colonnello Esteban Garcia, nipote bastardo di Trueba, che abitualmente violentava le giovani contadine delle Tre Marie.
Un romanzo interessante e coinvolgente, che trasporta il lettore in un contesto storico particolarmente rilevante per capire la recente storia del Cile.


Gaetano Bencivinni

giovedì 24 aprile 2014

Una passione peccaminosa

Un medico alchimista, un prete puritano, una adultera e una bambina frutto di una passione peccaminosa. Il palco della gogna, la piazza di Boston stracolma di occhi puntati sulla lettera A, cucita sul corpetto di Hester Prynne, condannata ad ostentare per sempre la lettera scarlatta, marchio della sua colpa.
La donna, energica e coraggiosa, resiste alla richiesta dei giudici di rendere noto il nome del suo amante e mantiene il segreto nel suo cuore. Preferisce tutelare l’immagine del suo giovane reverendo, predicatore di successo, particolarmente stimato nella diocesi della nuova Inghilterra della fine del Diciassettesimo secolo.
Il medico Roger Chillingworth, marito di Ester, creduto morto, arriva a Boston il giorno della gogna e scopre così il tradimento della moglie, che era partita dall’Inghilterra due anni prima di lui, trattenuto in Europa da impegni di studio, legati alla sua attività di scienziato.
Inizia così la vendetta di Roger, che impone ad Hester di tacere sulla sua presenza a Boston. Come medico cura fisicamente e tormenta psicologicamente per sette anni il reverendo Arthur Dimmesdale, sfibrato dal rimorso per la colpa commessa.
Tutto si conclude nel palco della gogna, dove Arthur sale insieme ad Hester ed alla figlia Perla. Da lì confessa la sua colpa alla folla, radunata in piazza per una festa della città, che lo aveva acclamato pochi minuti prima per lo straordinario sermone tenuto, ricco di buoni propositi e pesantemente critico verso ogni forma di peccato.
La gente rimane sconvolta, sorpresa, incredula anche perché Arthur era considerato un vero e proprio santo.
Sul palco Arthur, stremato dall’emozione e dalla gracilità del fisico, muore tra le braccia di Hester.
Il romanzo La lettera scarlatta dello scrittore americano Nathaniel Hawthorne fa rivivere al lettore il clima puritano di quell’epoca, pesantemente segnato dal moralismo e dall’ipocrisia.
A raccontare la storia è un impiegato di dogana che, due secoli dopo, scopre per caso nel ciarpame dell’ufficio un piccolo manoscritto con la lettera scarlatta ricamata.
L’espediente letterario del falso ritrovamento del manoscritto, presente nella lettera scarlatta, è particolarmente diffuso nella produzione letteraria. Basti pensare al Don Chisciotte di Miguel De Cervantes, ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e più recentemente a Il nome della rosa di Umberto Eco.


Gaetano Bencivinni

martedì 22 aprile 2014

Gli albori della guerra fredda

Rileggere il romanzo I mandarini della scrittrice francese Simone de Beauvoir a sessanta anni dalla sua pubblicazione, significa tuffarsi nel contesto storico del dopoguerra in cui intellettuali, scrittori, artisti, filosofi e letterati erano obbligati a compiere una precisa scelta di campo tra il blocco filoamericano e il blocco filosovietico.
La disfatta tedesca, il ritorno dei deportati, il bisogno di dimenticare gli orrori della guerra e i campi di sterminio, l’esigenza di costruire un nuovo mondo, il piano Marshall, le vicende del Madagascar, i campi di lavoro in Unione Sovietica e gli albori della guerra fredda attraversano la narrazione i cui protagonisti maschili sono Harry e Robert che ricordano molto da vicino il filosofo Jean Paul Sartre e lo scrittore Albert Camus, premio Nobel per la letteratura nel 1957.
In quella fase, esistenzialismo, marxismo e psicanalisi si intrecciano in una miscela filosofica che fornisce le categorie interpretative, utili per comprendere i comportamenti, gli atteggiamenti, i modi di essere e di pensare dei vari personaggi che animano il romanzo di Simone de Beauvoir
Individualismo e collettivismo, libertà ed uguaglianza, ma anche depressioni psichiche, pulsioni suicide, odi ed amori animano il dialogo e gli atteggiamenti dei personaggi che si confrontano  in un contesto culturale particolarmente stimolante ed elevato.
La cultura parigina continua a rappresentare il faro della Storia, anche se già si avvertono tutti i fattori del suo prossimo declino, dovuto al progressivo consolidamento di quel bipolarismo mondiale, che sposterà la bussola delle sorti dell’umanità a New York ed a Mosca.
Particolarmente moderne appaiono anche le protagoniste femminili  che, pur vivendo in quel tremendo contesto di guerra, anticipano quel fenomeno di emancipazione femminile, destinato a trionfare negli anni successivi.
Interprete di questa modernità è Anne , che svolge la funzione dell’io narrante.  Anne vive  una doppia vita: felice e pienamente realizzata a Chicago con uno scrittore americano di cui è innamorata, insicura, vuota con tendenze suicide a Parigi da cui però non riesce a distaccarsi.
Il romanzo si fa apprezzare per lo straordinario intreccio di vicende politiche e di esperienze amorose, che procedono nel contesto straordinario che segna il passaggio dalle tragedie della seconda guerra mondiale all’entusiasmo per la costruzione di un nuovo mondo con tutte le paure e le incertezze collegate alla nuova fase storica, che già in quegli anni fa presagire il dramma della corsa al riarmo nucleare.
Harry e Robert si misurano con l’esigenza di costruire una terza via che sia antiamericana senza essere comunista. Un tentativo culturale, di grande levatura, di costruire una sinistra indipendente in grado di coniugare libertà e giustizia, evitando l’abisso dei sorgenti imperialismi.
Questa grande operazione culturale è destinata a fallire, proprio perché ormai le sorti della Storia escono dal controllo dell’Europa, che precipita nelle divisioni e nell’incapacità politica e culturale di svolgere un ruolo decisivo nello scacchiere mondiale.


Gaetano Bencivinni

lunedì 21 aprile 2014

Il soldato bambino

Gunther, recluta dell’ ultima leva di guerra, è sbarcato provvisoriamente a Roma in attesa di raggiungere l’ Africa. Girovaga disorientato per le vie del quartiere S. Lorenzo di Roma nelle prime ore di   un pomeriggio di gennaio del 1941.
E’ alto, biondo, dalla faccia decisamente infantile. Cammina goffamente dentro una uniforme striminzita per la sua statura.
Proviene da una campagna bavarese ed è cresciuto sempre lì, accanto alla madre vedova e ai fratelli contadini, assaporando il calore e gli  odori familiari.
Non si è mai allontanato da quei luoghi, se non per andare nella vicina Monaco a svolgere qualche lavoretto da elettricista e frequentare un’ anziana prostituta, dalla quale ha imparato a fare l’ amore.
Entra in un’ osteria per placare il suo appetito, ma prende una bella sbronza.
Esce quasi barcollante e si rannicchia in un atrio di un palazzo vecchio. Lì  poco dopo rincasa Ida Ramundo.
Confuso dai fumi dell’ alcol segue in casa la povera  maestra, mezza ebrea e vedova. Stanca  rincasa con la borsa della spesa. Abita al sesto piano.
L’ interno della casa, composto da due misere stanze, fa nel giovane un effetto di rimpianto e malinconia per certe affinità con la sua casa materna in Bavarìa.
Ida, invece, vede in lui  lo sgherro nazista venuto a prelevarla.
E’ un momento drammatico per lei perché le ricompare la crisi epilettica “ Il corpo di Ida era rimasto inerte, come la sua coscienza senz’ altro movimento che un piccolo tremito dei muscoli e uno sguardo inerme di ripulsa estrema come davanti a un mostro “.
Lo sguardo di lei  è per il ragazzo un insulto.,la rabbia gli oscura i suoi occhi color turchino e le si butta addosso.
Subito dopo la violenza,  per motivi diversi, entrambi appaiono, però, accomunati dallo stesso dolore…
Il povero Gunther è vittima inconsapevole di eventi più grandi di lui e, come tutti i personaggi del libro, destinato a soccombere.
Tre giorni dopo, infatti, morirà nel Mediterraneo. Il romanzo La storia di Elsa Morante è una storia cieca e immutabile che non si svolge secondo una legge superiore di progresso, né secondo un piano provvidenziale, ma si sostanzia di gravi ingiustizie, odiose prevaricazioni e follie omicide destinate a travolgere i più deboli e gli indifesi.

Maria Castellani

sabato 19 aprile 2014

Effetti collaterali di una società fondata sulla libertà di scelta

Il  mondo   occidentale  è  molto  cambiato  rispetto  a  quello  di  non  molto  tempo  fa :  il progresso ha  rivoluzionato  il  modo  di  vivere.  In  passato  la  società  verticale, soggetta  a  domini oligarchici  e  padronali ,  era  ingessata  dai  divieti  e bloccata  dalle  gerarchie. Negli    ultimi decenni  la  società  democratica  ha  portato  una  libertà  individuale  in  ogni   campo: alla vecchia società  verticale,  basata  sul  rispetto  dei  rapporti   gerarchici ,  si  è  andata  sostituendo un’altra  sempre  più  orizzontale  e  democratica ,  dove  teoricamente  a  tutti  sono  offerte le stesse opportunità. “Dall’uguaglianza dei diritti si è passati  all’uguaglianza delle possibilità (e ovviamente delle responsabilità), dove il successo individuale diventa un obbligo che alimenta il  culto della performance e la corsa alla competizione”, spiega Ehrenberg, già noto in Italia per “La  fatica di essere se stessi .”L’individuo, per affermarsi nel lavoro e perfino nelle relazioni private è  costretto a diventare “l’imprenditore di se stesso“, deve sfruttare le proprie competenze al massimo,  con il  rischio di percepire un insuccesso come una sconfitta personale che rimette in discussione   l’ideale di sé  e la propria autostima. Quindi è soggetto alla depressione, all’ansia e allo stress, che  più del capitalismo sono il prodotto della democrazia, sono gli  effetti collaterali di una società  fondata sulla libertà di scelta e l’eguaglianza dei diritti. E’ questa la  tesi  spiazzante  e  provocatoria  che Alain Ehrenberg propone nel saggio, “La  società  del   disagio”,  che in Francia ha suscitato   appassionate  discussioni, nel  2010.
“Le diverse forme più o meno accentuate di sofferenza psichica sono ormai il tratto dominante  della  condizione contemporanea occidentale“, spiega il sociologo francese, che dirige  il  Centro  di  ricerca  Psicotropi,  Salute mentale e Società dell’ Università Paris–Descartes: “Lo confermano in  modo unanime psicologi, psichiatri e psicanalisti, i quali, per caratterizzare tale evoluzione,  parlano  di  passaggio da  Edipo a  Narciso, vale a dire patologie nate dai divieti a quelle prodotte da una  relazione conflittuale con la propria immagine“.
Marietta   Gallo    

giovedì 17 aprile 2014

‘A ‘nzilica



Detto in parole povere significa semplicemente strada lastricata in pietra silicea[1], acciottolato. Niente di più banale.
Ma se vogliamo in qualche misura approfondire il senso della parola, magari mettendoci dentro un po’ di sentimento, ci rendiamo conto che, in realtà, si tratta di qualcosa di molto più poetico e complesso.
Io la rivivo come l’ho vissuta nella lontana infanzia quando abitavo in via Regina Elena n. 44 dove sono nato; quando la percorrevo da cima a fondo, ripetutamente, a tutte le ore del giorno e della notte, a passo più o meno  spedito o addirittura correndo come quando giocavamo a guardia e ladri; quando questa via era appunto una  nzilica con il fondo lastricato di pietra.

Erano pietre di varia forma, colore e grandezza, martoriate dalle zampe ferrate dei muli provenienti dalla campagna e levigate dai passi nudi dei marinai che, salendo dalla porta ‘i mare, le calpestavano nelle loro quotidiane fatiche di pescivendoli e ricattere[2].
Erano adagiate l’una accanto all’altra con modulazioni diverse ma sempre in modo che tra l’una e l’altra ci fosse quasi la stessa distanza, senza creare vuoti che potessero costituire pericolo per il passante: un vero e proprio ricamo dei nostri maestri d’arte.  
Un ricamo simile a quello che i nostri ingegnosi contadini hanno lasciato scolpito in certi muretti di pietra a secco[3] di cui è ancora disseminata la nostra campagna, che hanno resistito magnificamente alle intemperie dei secoli e ai terremoti ma non sempre all’opera sciagurata degli uomini che li stanno sostituendo con dei prosaici e ignobili blocchi di cemento.
 
Via S. Pellico

Ma torniamo alla nostra ‘nzilica che di tanto in tanto, data la forte pendenza, non inferiore a un buon venti per cento, era intervallata da un gradino non più alto di una normale pietra come quella del lastricato: un vero e proprio mosaico di sassi che assumeva e conserva, ai miei occhi, dimensione e dignità di arte della pietra e del selciato.
Anche le pendenze laterali risultavano studiate e calibrate in maniera particolare: avevano un movimento dolcemente degradante al centro perché l’acqua scorresse appunto nel settore centrale, consentendo ai passanti di salire e scendere, nei giorni di pioggia, senza bagnarsi oltre l’indispensabile, dalle parti laterali: un vero e proprio gioiello d’ingegneria idraulica per i tempi che allora correvano.
E correvano tempi in cui, vi assicuro, pioveva molto e faceva molto più freddo di quanto oggi non accada a distanza di tante primavere, anzi di tante stagioni invernali. Non saprei dire se fosse questa una sensazione determinata dalla modestia dell’abbigliamento di allora e dal fatto che si camminava solo e sempre a piedi o se ciò configurasse una situazione reale del clima non ancora contaminato dai fumi delle automobili, delle industrie, dei termosifoni e di quant’altro la civiltà successiva ci ha riservato.
 
Via Regina Elena


 
'Mienzu 'a Curti.
Fatto sta che quando pioveva, la nostra ‘nzilica diventava un vero e proprio spettacolo perché produceva il caratteristico fenomeno della cosiddetta travunara.
Già…la travunara, particolare musicalità dell’acqua che grondava abbondante dalle tegole dei palazzi dirimpettai e da quella che, scorrendo lungo i gradini, ripulendo a fondo la via, faceva un autentico, caratteristico effetto cascata. E tra un gradino e l’altro, lee e gli interstizi, fungendo rispettivamente come da tasti bianchi e neri su di un pianoforte ideale, arricchivano lo spartito di una melodia  che non è dato descrivere.
Questo e altro era una ‘nzilica quando la smania delle strade ad ogni costo rotabili, anche quelle più strette e tortuose dei vicoli belli del mio paese, non era ancora intervenuta a cancellare, con l’asfalto e il cemento, la sua armonia.
Sono tornato in via Regina Elena numero 44: che tristezza!.. Quello che nei miei ricordi era un quartiere dagli spazi immensi, l’ho trovato incredibilmente rimpicciolito e ridimensionato dalle vicende umane e dagli anni.
Tanta gente, troppa gente è andata via, fuggita dalla miseria e dall’abbandono, dopo aver lasciato la Rupe e i vicoli Frischera testimoni silenziosi della loro storia leggendaria. Il bel portone di casa in legno massiccio dipinto di blu è stato divelto e sostituito da un moderno e gelido portone in alluminio. Chissà se esiste ancora, all’interno, la bella soffitta coperta di tegole, nella quale mamma infornava il pane, dove si cucinava, si pranzava, si sognava e nella quale stendevo, di notte, le mie composizioni! Addio casa dei miei natali e dei miei sogni.
Addio ‘nzilica della mia infanzia. La mia ‘nzilica non c’è più.

Luigi Leporini


[1] Gerhard Rohlfs- nzilica: strada selciata ( C ctr). V. nsilicata.
[2] Pescivendoli al femminile.
[3] Ossia senza malta cementizia.