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giovedì 29 maggio 2014

La bellezza dell’amore

Sezionare l’anatomia della bellezza, scoprirne i meccanismi generativi, per creare nuova bellezza. Compito dello scrittore è quello di esplorare il mondo , guidato dalla lanterna del genio , che consente di illuminare i vari aspetti della bellezza, spesso nascosti ed offuscati dalle tenebre della quotidianità e del piatto vivere comune.
Il romanzo di Jack London Martin Eden racconta il percorso del protagonista, che da rozzo marinaio, illuminato dall’amore per una donna colta, scopre la creatività del suo talento artistico, divorando libri e portando a consapevolezza critica le tante esperienze di vita che hanno caratterizzato la fase giovanile. Un impegno costante, determinato, che gli consente nel giro di pochi anni di studio appassionato e vasto di sprigionare tutta la sua creatività, pur subendo mortificazioni e sconfitte da parte del mondo accademico ed editoriale, che bocciava sistematicamente tutti i suoi prodotti culturali.
La forza dell’amore lo ha guidato sino a quando è riuscito a conseguire uno straordinario successo. Senza l’amore, la vita è vuota, non ha senso e precipita nelle tenebre della banalità.
Un esempio notevole quello di Martin Eden, che spinge il lettore ad apprezzare la bellezza, l’istruzione, l’arte e il sentimento dell’amore, che sono i pilastri di una esistenza autentica, non banale, meritevole di essere vissuta con intensità.
La vendemmia della letteratura, la capacità di spremere il succo del pensiero per nutrire lo spirito sono aspetti significativi ben evidenziati anche nel romanzo della scrittrice Dacia Maraini La lunga vita di Marianna Ucria.
La lettura dei libri aiuta a raffinare il gusto per la bellezza, che costituisce il faro della nostra vita.
Appartiene agli accidiosi, ai negligenti, ai pigri l’incapacità di cogliere le poche cose belle che la vita offre agli uomini. Non a caso il grande poeta Dante Alighieri colloca questa categoria di persone nel fondo dello Stige.
Insomma, come sostiene Italo Calvino nel romanzo Le città invisibili, due strade si prospettano: o accettare l’Inferno delle tenebre che ci circondano e adeguarsi ad esse, oppure saper cogliere le cose belle del mondo, per farle durare quanto più a lungo possibile.


Gaetano Bencivinni

lunedì 19 maggio 2014

L’importanza dei libri



Tra i miei libri scolastici, che usavo quando insegnavo alla scuola media a Roma, ho ripreso a leggere “ I fuochi del Basento “di Raffaele Nigro, edito nel 1989. Le notizie sull’autore, riferite al periodo in cui il libro è stato pubblicato, riportano: “ Raffaele Nigro è nato a Melfi, nel 1947, vive a Bari e lavora alla RAI come programmista–regista. Ha scritto molti saggi sul Meridione e una raccolta di poesie. Con questo primo romanzo ha vinto il premio  Campiello 1987. La speranza di una vita meno miserevole e di una maggiore giustizia sociale spinge gli uomini della famiglia Nigro a schierarsi: Francesco contro i Borboni nel 1799, da bracciante a “ generale “  dei briganti in appoggio alla rivoluzione; suo figlio Carlantonio,   anche lui brigante ma per la causa di re Ferdinando, contro i francesi  e  i  liberali; infine  l’ultimogenito, padre Raffaele Arcangelo,   che  alla vigilia dell’ Unità  d’ Italia realizza a suo modo gli ideali di   giustizia di suo padre. Accanto a loro, sullo sfondo della terra meridionale sconvolta dalla guerra, si stagliano le figure di madri, figlie e mogli coraggiose o dolenti  e di molti altri personaggi storici o secondari, tutti ritratti dalla vivida penna dell’autore”. Il libro narra le vicende di una famiglia di contadini-braccianti, che vive (verso la fine del 1700) sulle terre dell’Italia del sud, comprese tra l’Ofanto, il Basento e il Crati : Basilicata, Puglia, Calabria e Campania. Al termine della narrazione, nel libro si  può leggere l’intervista  fatta all’autore, il quale dimostra di essere un meridionale fiero della propria cultura e delle proprie tradizioni. Egli infatti è riuscito a ricreare,nel suo romanzo,un mondo che vibra di vita e ci fa aderire con emozione ed entusiasmo alle storiche vicende dei suoi personaggi. Gli   si  chiede perché  ha scritto il romanzo e da quale idea è nato. Egli  risponde  che lo ha scritto per varie ragioni. In sintesi : voleva raccontare com’era la società contadina nel Mezzogiorno d’Italia prima dell’era industriale,narrare quindi la storia d’Italia e del Regno di Napoli con gli occhi dei contadini; mettere insieme i grandi avvenimenti con le piccole cronache quotidiane;mostrare come la società contadina,nonostante la miseria e le condizioni disperate in cui versava,fosse attraversata da tensioni ideali e da desideri di riscatto. Alla domanda su cosa si fosse basato per ricreare il “ mondo “ contadino lucano, con le sue usanze, le credenze, le tradizioni, risponde di essersi basato proprio sui contenuti di questa cultura  orale: i racconti della gente di campagna,degli anziani.Essi trascorrevano lunghissimi inverni attorno al fuoco del camino. I più anziani raccontavano fiabe e favole, le proprie esperienze, quello che avevano fatto durante il servizio militare. Egli ha raccolto tutto ciò  prima che sparisse. Ancora gli si chiede perché nel romanzo abbia  messo i proverbi popolari e le strofette. Risponde che i proverbi costituivano la  grande sapienza del popolo e quindi erano fondamentali  nella vita quotidiana, perché facevano da massime per l’edificazione morale. Un’altra domanda: “ La lingua che usa nel romanzo è  un impasto tra italiano, gergo dialettale, espressioni locali: è stato difficile scrivere così ? Perché ha fatto questa scelta ?” La risposta è:” Non è stato difficile, mi è bastato usare l’italiano mantenendo le  strutture sintattiche proprie del dialetto,irrobustendo il tutto con l’uso di espressioni gergali italianizzate. In questo modo mi è sembrato di raccontare  dall’interno del mondo contadino, parlando proprio  la loro lingua.”Gli si chiede poi se è importante conservare le caratteristiche della propria cultura e delle proprie tradizioni.  Che  cosa  possono fare i giovanissimi? La risposta è che non si può rinnegare il   progresso né uscire dalla storia. Intanto non bisogna vergognarsi  di avere in bocca,se ancora ci sono fortunati che lo posseggono,  un  linguaggio materno,un dialetto. L’ultima domanda:”Che cosa pensa della lettura a scuola?Serve o no? Lei ,da ragazzo,che cosa leggeva?” Risposta:”Le letture giovanili servono ad irrobustire la fantasia. La diversità tra un film e un libro sta nel fatto che la lettura permette una personale invenzione di scene, personaggi,azioni,fisionomie. Una partecipazione attiva,di fronte alla totale passività con cui si guarda un film. Da ragazzo ho letto moltissimo: tutto Dickens,Verne, Collodi, Cooper   e  persino Gautier di Capitan Fracassa ed altri. Allora possedevamo pochissimi libri. Io ho sempre amato di possederli,perché un libro    letto entra nel mio mondo,nel mio corpo. Dai nomi citati si capirà     che le mie letture erano casuali,procedevano per assaggi,ma tutte     si sistemavano nella lettura continua e quasi sistematica di una      “Enciclopedia della fiaba” che avevo preso in prestito      al     Centro di cultura popolare,delle” Mille e una notte” e de “Il Pentamerone “ ovvero “Lo intrattenimento de li peccerille” di Giambattista Basile.Io credo di aver assunto proprio da questa montagna di     favole la propensione per il fantastico e per tutto ciò che sta di  la’     dalla realtà.”
 Marietta  Gallo

domenica 18 maggio 2014

La lucida follia dell’inetto

Frantumazione dell’io, relativismo gnoseologico, realtà fluida ed inafferrabile. La ragione si impiglia nelle forme delle convenzioni e precipita nel buio della follia.
Su questi temi Luigi Pirandello costruisce il romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Un romanzo attuale se si tiene conto che fragilità dell’io, complessità del reale, crisi del razionalismo neoilluministico e prevalenza dell’artificiale sul naturale sono tratti distintivi del mondo contemporaneo in cui disagio esistenziale, rapidi mutamenti sociali e tirannia dell’apparire sono moneta corrente.
Vitangelo Moscarda, protagonista del romanzo, colpito dalla scintilla della coscienza, scopre i suoi limiti fisici, rifiuta la maschera di usuraio ereditata dal padre, avvia un cervellotico ragionamento che lo trasporta nel gorgo nero della pazzia.
C’è nel romanzo una secca condanna del progresso che deturpa la natura, delle convenzioni che ingabbiamo l’esistenza umana, del disagio della civiltà prodotto dal dominio delle tecnologie e dallo smarrimento dell’uomo gettato nel mondo senza riferimenti certi a cui aggrapparsi.
Sulla stessa lunghezza d’onda il romanzo di Italo Svevo “La coscienza di Zeno”, che punta i riflettori sull’eroe decadente inetto, che vagola nel mondo tra malattie e nevrosi alla ricerca della salute, che è praticamente negata all’esistenza umana.
La vita contiene in sé il virus della malattia mortale, che può essere debellato solo da una catastrofe, prodotta da un ordigno micidiale in grado di trasformare la terra in una nebulosa priva di parassiti e di malattie.

Gaetano Bencivinni  


giovedì 15 maggio 2014

Inseguendo un'ombra

Questa l'ultima fatica di Andrea Camilleri uscita in libreria per le Ed. Sellerio.
Il protagonista sembrerebbe lontanissimo dal personaggio di Montalbano, ma come il personaggio più famoso dello scrittore, anche Samuel nasce in Sicilia e vi trascorre la sua prima giovinezza.
La Sicilia di Samuel è ancora medioevale e non risente dell'Umanesimo delle Corti Italiane che il protagonista conoscerà molto bene nella sua vita. Samuel è ebreo e vive in ghetto fuori dal paese e grazie alla sua intelligenza e cultura presto ne esce trasmigrando nella religione cattolica. camilleri ha voluto offrire un'immagine dell'Umanesimo visto dagli occhi di un particolare ebreo che ne sfrutta i vizi e le straordinarie conoscenze al punto da diventare amico di Papi, Signori e di Pico della Mirandola. La lettura è molto piacevole e la sorpresa arriva all'ultima pagina quando improvvisamente giunge alla mente il romanzo di Eugene Sue "l'Ebreo Errante" e tutto il libro appare sotto una luce diversa al punto da volerne ricominciare la lettura.

Elisabetta Pelaia

mercoledì 14 maggio 2014

Gemellaggio Rai Senior

Il 14 Giugno alle ore 18:00 presso la sede del Centro Anziani di Cetraro Paese ci sarà il gemellaggio con RAI Senior della Sede Calabrese della RAI di Cosenza.
Interverranno:
- Il Direttore della Sede Calabrese della RAI l'Ing. Demetrio Crucitti.
- Il Referente del Premio Letterario RAI "La Giara" per la Calabria, Prof. Luigi Michele Perri.
- Il Responsabile dell'Associazione RAI Senior Calabria , Giampiero Mazza.
- Il Vice Fiduciario Romano Pellegrino.
- Parteciperà con il romanzo "Sette paia di Scarpe" la giovane autrice calabrese, Eliana Iorfida, protagonista del Premio " La Giara".

sabato 10 maggio 2014

Tra gattopardi e sciacalli

Il gattopardismo, legato alla celebre espressione del nobile Tancredi “ cambiare tutto, perché tutto rimanga come prima”,  fa parte ormai del linguaggio comune e sta ad indicare l’opportunistico atteggiamento di chi, in modo più o meno furbesco, si adatta al nuovo con l’obiettivo di continuare a galleggiare  anche quando i cambiamenti della realtà sono radicali.
Il tramonto dell’epoca borbonica e l’inizio della nuova stagione risorgimentale fanno da supporto storico alla narrazione del romanzo Il gattopardo dello scrittore Giuseppe Tommasi di Lampedusa. Le vicende della nobile famiglia siciliana dei Salina ruotano intorno alla figura di don Fabrizio, principe, astronomo ed intellettuale, che vive le contraddizioni del passaggio dal Regno delle due Sicilie all’Italia unita.
Contraddizioni che emergono in tanti episodi, che vedono protagonista il principe di Salina: le riflessioni con l’organista Ciccio Tumeo sui brogli elettorali, il colloquio con il rampante don Calogero Sedara, le considerazioni sull’immobilismo della Sicilia con l’inviato piemontese.
Ciccio Tumeo rappresenta il vecchio mondo, ormai al tramonto, don Calogero Sedara è il nuovo sciacallo, che rappresenta il mondo borghese emergente, l’inviato piemontese prospetta a don Fabrizio una nuova stagione di potere in un nuovo mondo, che don Fabrizio sente totalmente estraneo e a cui non può aderire senza compromettere le forme e le convenzioni, attaccate ormai definitivamente sulla sua pelle. Insomma, il suo mondo è tramontato, il nuovo non gli appartiene.
È proprio questo senso di morte che lo accompagna nelle vicende del romanzo dall’inizio alla fine.
Il cadavere sbudellato di un soldato, ritrovato nel giardino di casa Salina, lo spinge a riflettere sulla precarietà dell’esistenza umana, che come un serbatoio si svuota più o meno lentamente sino a trasformarsi in un mucchietto di polvere.
Il lugubre rintocco di una campana spinge la sua mente verso un approdo di pace dove regna sovrano il silenzio assoluto. Corteggia persino la morte, dipinta in un quadro, appeso sulla parete della biblioteca di un antico palazzo di Palermo. L’accoglie infine come una donna affascinante a cui sorride nel letto di morte.
Un romanzo che, a distanza di 56 anni dalla sua pubblicazione, rimane coinvolgente, interessante e moderno.
Il messaggio che l’autore trasmette non è un nostalgico invito a guardare il passato, ma è un ponte sul futuro, che indica la via maestra, costituita dalla certezza che la vita cambia, ma rimane sempre se stessa: un flusso di colori, sapori, odori, emozioni, sogni, che vanno vissuti intensamente. Il silenzio assoluto può attendere.


Gaetano Bencivinni                   

giovedì 8 maggio 2014

Arturo come la perla nell’ostrica

Arturo, allevato con latte di capra, vive l’infanzia e l’adolescenza chiuso in  se stesso come la perla nell’ostrica .E’ Procida, la sua isola, mitizzata. Pieno di sé non ricerca la compagnia degli altri suoi coetanei e rifugge da quella degli adulti. Arturo non ha tagliato il cordone ombelicale e vive pago del ricordo della mamma morta nel momento  in cui lo mette al mondo.
Solo, con un padre, anch’egli immaturo , vive libero da qualsiasi controllo e autocontrollo. Sogna di avviarsi verso una vita diversa e si sente un eroe come gli eroi di cui legge nei libri che trova  nella sua casa polverosa, che il padre aveva ereditato dall’amalfitano, un uomo che odiava le donne e che sul finire della vita aveva maturato per lui un amore ossessivo.
Ma ecco che l’equilibrio, faticosamente mantenuto,  viene spezzato dall’arrivo di una matrigna, giovane come lui, ingenua, abbarbicata alle sue idee di donna semplice. Arturo rifugge anche da lei, ma piano piano se ne innamora e prova gioia e dolore, voglia di morire e di fuggire con lei e proteggerla, come un eroe senza macchia e senza paura.
E’ una seconda nascita, dolorosa . A poco a poco abbandona il guscio protettivo della sua isola. Il bambino che è in lui viene cancellato. Ha l’impressione di morire. Altalena tra adolescenza  ed età adulta e finge il suicidio per attirare l’attenzione della matrigna che vuole tutta per sé. La provoca per essere preso in considerazione, per essere amato. Comprende che essa ricambia il suo amore, ma non cede perché rinchiusa  nella cella delle convenzioni.
Arturo è pronto per abbandonare il vecchio bozzolo ormai divenuto soffocante e trova l’energia  per  andare via, per tagliare il cordone ombelicale,  abbandonare la sua isola, placenta che gli aveva fornito tutto il necessario per vivere.
Il cerchio si chiude e parte con Silvestro, il servo che lo aveva allevato con latte di capra  e a cui era legato da profonda amicizia.
L’isola di Arturo di Elsa Morante è “Un’iniziazione alla vita attraverso tutti i suoi misteri”.

Rosa Randazzo

mercoledì 7 maggio 2014

Mamma Bice



                    
 
In una delle tante desolate contrade disseminate sul territorio comunale, una casetta, costruita in pietra e gesso di cava, sta come incollata alla roccia sullo strapiombo della fiumara. E’ una calda serata di Agosto. La luna piena, volgendo al tramonto, diffonde sul mare bagliori argentati soffusi, a tratti, di un languido e tenero rosso.
Sedute sulla gradinata della scala esterna, piccolo, agreste e raccolto anfiteatro familiare, varie generazioni, come api aggrappate al proprio alveare, sono assorte nella recita del santo rosario. Mamma Bice, nonna e capostipite incontrastata, accovacciata in testa alla scala, conduce il rito con convinta solennità, compiaciuta dell’unanime, ordinata partecipazione che si traduce in una gradevole cantilena dai ritmi uguali e quasi perfetti.
Il mormorio denso e compatto della preghiera diffonde, nella campagna circostante, una melodia che si adagia, addolcendoli, sul canto dei grilli e il gracidare delle rane giù nel pantano della sorgente, dando origine come a una sinfonia che rasserena e commuove.
Si sta spegnendo, negli ultimi rantoli, il grande falò organizzato, come ogni sera, con cura, dalla nutrita schiera dei nipoti per fugare i fantasmi delle ombre. Falò patrocinato dai più grandi, quando ancora non c’erano altri sistemi per attrarre e distruggere tra le fiamme le agguerritissime orde di zanzare che convergevano ogni sera dai mille angoli bui della notte.
Si avvia a concludere un’altra serata che la famiglia in coro aveva iniziato, come di consueto sulla scalinata, con melodie e canti, accompagnati da Peppino, Enrico ed Alfonso, i tre figli maschi, il primo al bombardino, gli altri due al clarinetto.  Carmela, Rita e Ida, le femmine, avevano assolto, con il consueto impegno, a turno, il ruolo di soliste del coro.
- “Gloria ... santa Maria ...” -s’interrompe d’un tratto mamma Bice dall’alto della gradinata- e protende con la mano la corona al cielo mostrando a dito la luna.         
- “Guardate ... Guardate...!”.
E’ appena iniziato un normale fenomeno di eclisse e la luna ha già incominciato a oscurarsi - “Malu signu![2]...” -sentenzia la nonna- mentre un brivido percorre la ciurma dei nipoti che, impauriti, si stringono ancora di più a quell’unico grappolo umano, consapevoli della saggezza della nonna che di guai, come spesso racconta, ne ha passati tanti.
Quanto resta della scala e della casetta di Salineto

Di colpo la recitazione si blocca ed è subito un vociare concitato di spiegazioni, congetture, ipotesi e credenze più o meno convinte, mentre il fenomeno progredisce rapidamente, le tenebre s’impossessano dei circostanti uliveti e il terrore invade gli animi dei più piccini. Vi è chi trattiene il respiro quando la luna scompare del tutto, in attesa che succeda qualcosa.
- “Malu signu...”  ripete, con aria solenne, mamma Bice dall’alto della scalinata. Poi, finalmente, uno spiraglio di luna riappare e man mano tutta la sua sagoma nuovamente risplende tornando a rinfrancare i cuori di tutti.
- “... Madre di Dio, prega per noi peccatori...” - si affretta a riprendere mamma Bice dalla sua postazione - e il santo rosario prosegue e si conclude.
Un coro di “buona notte” e il grappolo umano si scioglie in tanti piccoli rivoli: ciascuno raggiunge il suo angolo di casetta ove occupa un sommario giaciglio, in questo pezzetto di terra, in questo altro anno di guerra da “sfollati”. Giù, in paese, non è rimasto nessuno. Gli abitanti sono tutti disseminati alla men peggio in casolari sparsi nelle campagne.
Si è spento da poco il vociare seguito allo scioglimento della riunione sulla scala, spento il falò, spente le luci a olio o petrolio, spente le residue candele. Il buio e il silenzio hanno ripreso il dominio incontrastato della notte, nonostante la presenza di tante persone ormai abituate a convivere pacificamente in così poco spazio.
Ma è per poco… A un tratto qualcuno fa scattare l’allarme:
-“Guardate!... Guardate fuori!.. Affacciatevi!..”
Fuori è come improvvisamente giorno: appese al cielo, come tante lampare, cento bengala illuminano il territorio dalla montagna al mare. Nello stesso tempo un lugubre e fitto ronzio lontano lascia intuire la presenza di un numero terrificante di aerei che tra poco faranno scatenare l’inferno.  
E’ un fuggi-fuggi generale, mentre c’è chi urla un comando perentorio e preciso:
- “Alla grotta!.. alla grotta!..”. E mentre tutti corrono nella direzione indicata, nella confusione del momento, una mamma perde il bambino che stringeva al petto. Accortasi di stringerne solo dei panni, torna sui suoi passi, ritrova indenne il suo piccolo e riprende la corsa fino alla grotta.
Diecine e diecine di aerei, frattanto, hanno preso possesso del cielo e scaricano, a ondate successive, una quantità incredibile di bombe che giungono a terra con un sibilo pauroso e sinistro che si spegne nella successiva assordante esplosione.
- “Madonna mia!”... “Dio mio!”... “San Giuseppe !”... “San Benedetto”...
Ognuno ha un santo da invocare. E c’è chi ne ha più di uno. E chi ne ha tanti e li chiama uno di seguito all’altro, in fretta, quasi temendo di non avere tempo sufficiente per arrivare a invocare quello giusto.
Le bombe cadono lontano, giù, alla marina. E ogni volta tirano tutti un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo mentre ciascuno, in cuor suo, prega perché la prossima bomba cada pure lontano. E cadono tutte lontano, in paese o sulla ferrovia, sulla spiaggia o nel mare.
In effetti gli aerei mirano a colpire un treno di munizioni fermo da più giorni nella stazione ferroviaria. Ma non lo centreranno, nonostante tutta quella pioggia di bombe. Centreranno un ponte della ferrovia, e, sulla spiaggia, qualche abitazione tra cui quella dei genitori di Peppino e Nuccio Picarelli, distruggendole. Ci sarà anche una vittima: un uomo, forse un soldato, che si era rifugiato sotto il costone di roccia sottostante al paese, sarà ucciso da una scheggia.

Malu signu...” - aveva sentenziato mamma Bice - e adesso tutti rimeditano quelle parole, mentre, raggomitolati nella grotta, attendono che l’inferno di quegli interminabili istanti sia cessato.
Cessa finalmente. I bengala, consunti, si spengono e cadono. La luna è già tramontata. E mentre la campagna piomba nuovamente nel buio, qualcuno dice che si può rientrare perché San Benedetto ha fatto la grazia e ormai si è tutti fuori pericolo.
Nei giorni successivi stormi e stormi di aerei torneranno ancora. Più e più volte. Di notte e di giorno. E lanceranno centinaia di bombe sul territorio, definito - non si sa perché - “Settimo caposaldo” - nei bollettini di guerra.
E dopo una di queste tornate, una notizia correrà di bocca in bocca e rimarrà nella storia cittadina: una bomba di grosso calibro è caduta, nella notte, in un locale a ridosso della chiesa di San Benedetto, giù in paese, proprio dietro la statua del Santo collocata dietro l’altare maggiore ed è rimasta… inesplosa.
Verranno gli artificieri a disinnescarla e, dopo, resterà per qualche giorno in esposizione sul posto perché tutti possano vederla, me ragazzino compreso. Miracolo o circostanza puramente casuale? Dipende dai punti di vista.



[1] Diminutivo di Brigida.
[2] “Cattivo segnale” poiché superstizione vuole che debba accadere qualcosa.