Tra i miei
libri scolastici, che usavo quando insegnavo alla scuola media a Roma, ho
ripreso a leggere “ I fuochi del Basento “di Raffaele Nigro, edito nel 1989. Le
notizie sull’autore, riferite al periodo in cui il libro è stato pubblicato,
riportano: “ Raffaele Nigro è nato a Melfi, nel 1947, vive a Bari e lavora alla
RAI come programmista–regista. Ha scritto molti saggi sul Meridione e una
raccolta di poesie. Con questo primo romanzo ha vinto il premio Campiello 1987. La speranza di una vita meno
miserevole e di una maggiore giustizia sociale spinge gli uomini della
famiglia Nigro a schierarsi: Francesco contro i Borboni nel 1799, da bracciante
a “ generale “ dei briganti in appoggio
alla rivoluzione; suo figlio Carlantonio,
anche lui brigante ma per la causa di re Ferdinando, contro i
francesi e i liberali;
infine l’ultimogenito, padre Raffaele
Arcangelo, che alla vigilia dell’ Unità d’ Italia realizza a suo modo gli ideali
di giustizia di suo padre. Accanto a
loro, sullo sfondo della terra meridionale sconvolta dalla guerra, si stagliano
le figure di madri, figlie e mogli coraggiose o dolenti e di molti altri personaggi storici o
secondari, tutti ritratti dalla vivida penna dell’autore”. Il libro narra le
vicende di una famiglia di contadini-braccianti, che vive (verso la fine del
1700) sulle terre dell’Italia del sud, comprese tra l’Ofanto, il Basento e il
Crati : Basilicata, Puglia, Calabria e Campania. Al termine della narrazione, nel libro si può leggere l’intervista fatta all’autore, il quale dimostra di
essere un meridionale fiero della propria cultura e delle proprie tradizioni.
Egli infatti è riuscito a ricreare,nel suo romanzo,un mondo che vibra di vita e
ci fa aderire con emozione ed entusiasmo alle storiche vicende dei suoi
personaggi. Gli si chiede perché
ha scritto il romanzo e da quale idea è nato. Egli risponde
che lo ha scritto per varie ragioni. In sintesi : voleva raccontare
com’era la società contadina nel Mezzogiorno d’Italia prima dell’era
industriale,narrare quindi la storia d’Italia e del Regno di Napoli con gli
occhi dei contadini; mettere insieme i grandi avvenimenti con le piccole
cronache quotidiane;mostrare come la società contadina,nonostante la miseria e
le condizioni disperate in cui versava,fosse attraversata da tensioni ideali e
da desideri di riscatto. Alla domanda su cosa si fosse basato per ricreare il “
mondo “ contadino lucano, con le sue usanze, le credenze, le tradizioni,
risponde di essersi basato proprio sui contenuti di questa cultura orale: i racconti della gente di campagna,degli
anziani.Essi trascorrevano lunghissimi inverni attorno al fuoco del camino. I più
anziani raccontavano fiabe e favole, le proprie esperienze, quello che avevano
fatto durante il servizio militare. Egli ha raccolto tutto ciò prima che sparisse. Ancora gli si chiede
perché nel romanzo abbia messo i
proverbi popolari e le strofette. Risponde che i proverbi costituivano la grande sapienza del popolo e quindi erano
fondamentali nella vita quotidiana,
perché facevano da massime per l’edificazione morale. Un’altra domanda: “ La
lingua che usa nel romanzo è un impasto
tra italiano, gergo dialettale, espressioni locali: è stato difficile scrivere
così ? Perché ha fatto questa scelta ?” La risposta è:” Non è stato difficile,
mi è bastato usare l’italiano mantenendo le
strutture sintattiche proprie del dialetto,irrobustendo il tutto con
l’uso di espressioni gergali
italianizzate. In questo modo mi è sembrato di raccontare dall’interno del mondo contadino, parlando
proprio la loro lingua.”Gli si chiede
poi se è importante conservare le caratteristiche della propria cultura e delle
proprie tradizioni. Che cosa
possono fare i giovanissimi? La risposta è che non si può rinnegare
il progresso né uscire dalla storia. Intanto
non bisogna vergognarsi di avere in
bocca,se ancora ci sono fortunati che lo posseggono, un
linguaggio materno,un dialetto. L’ultima
domanda:”Che cosa pensa della lettura a scuola?Serve o no? Lei ,da ragazzo,che
cosa leggeva?” Risposta:”Le letture giovanili servono ad irrobustire la
fantasia. La diversità tra un film e un libro sta nel fatto che la lettura permette
una personale invenzione di scene, personaggi,azioni,fisionomie. Una
partecipazione attiva,di fronte alla totale passività con cui si guarda un
film. Da ragazzo ho letto moltissimo: tutto Dickens,Verne, Collodi, Cooper e
persino Gautier di Capitan Fracassa ed altri. Allora possedevamo
pochissimi libri. Io ho sempre amato di possederli,perché un libro letto entra nel mio mondo,nel mio corpo.
Dai nomi citati si capirà che le mie
letture erano casuali,procedevano per assaggi,ma tutte si sistemavano nella lettura continua e
quasi sistematica di una “Enciclopedia della fiaba” che avevo preso in
prestito al Centro di cultura popolare,delle” Mille e
una notte” e de “Il Pentamerone “ ovvero “Lo intrattenimento de li peccerille”
di Giambattista Basile.Io credo di
aver assunto proprio da questa montagna di
favole la propensione per il fantastico e per tutto ciò che sta di la’
dalla realtà.”
Marietta
Gallo
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