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lunedì 19 maggio 2014

L’importanza dei libri



Tra i miei libri scolastici, che usavo quando insegnavo alla scuola media a Roma, ho ripreso a leggere “ I fuochi del Basento “di Raffaele Nigro, edito nel 1989. Le notizie sull’autore, riferite al periodo in cui il libro è stato pubblicato, riportano: “ Raffaele Nigro è nato a Melfi, nel 1947, vive a Bari e lavora alla RAI come programmista–regista. Ha scritto molti saggi sul Meridione e una raccolta di poesie. Con questo primo romanzo ha vinto il premio  Campiello 1987. La speranza di una vita meno miserevole e di una maggiore giustizia sociale spinge gli uomini della famiglia Nigro a schierarsi: Francesco contro i Borboni nel 1799, da bracciante a “ generale “  dei briganti in appoggio alla rivoluzione; suo figlio Carlantonio,   anche lui brigante ma per la causa di re Ferdinando, contro i francesi  e  i  liberali; infine  l’ultimogenito, padre Raffaele Arcangelo,   che  alla vigilia dell’ Unità  d’ Italia realizza a suo modo gli ideali di   giustizia di suo padre. Accanto a loro, sullo sfondo della terra meridionale sconvolta dalla guerra, si stagliano le figure di madri, figlie e mogli coraggiose o dolenti  e di molti altri personaggi storici o secondari, tutti ritratti dalla vivida penna dell’autore”. Il libro narra le vicende di una famiglia di contadini-braccianti, che vive (verso la fine del 1700) sulle terre dell’Italia del sud, comprese tra l’Ofanto, il Basento e il Crati : Basilicata, Puglia, Calabria e Campania. Al termine della narrazione, nel libro si  può leggere l’intervista  fatta all’autore, il quale dimostra di essere un meridionale fiero della propria cultura e delle proprie tradizioni. Egli infatti è riuscito a ricreare,nel suo romanzo,un mondo che vibra di vita e ci fa aderire con emozione ed entusiasmo alle storiche vicende dei suoi personaggi. Gli   si  chiede perché  ha scritto il romanzo e da quale idea è nato. Egli  risponde  che lo ha scritto per varie ragioni. In sintesi : voleva raccontare com’era la società contadina nel Mezzogiorno d’Italia prima dell’era industriale,narrare quindi la storia d’Italia e del Regno di Napoli con gli occhi dei contadini; mettere insieme i grandi avvenimenti con le piccole cronache quotidiane;mostrare come la società contadina,nonostante la miseria e le condizioni disperate in cui versava,fosse attraversata da tensioni ideali e da desideri di riscatto. Alla domanda su cosa si fosse basato per ricreare il “ mondo “ contadino lucano, con le sue usanze, le credenze, le tradizioni, risponde di essersi basato proprio sui contenuti di questa cultura  orale: i racconti della gente di campagna,degli anziani.Essi trascorrevano lunghissimi inverni attorno al fuoco del camino. I più anziani raccontavano fiabe e favole, le proprie esperienze, quello che avevano fatto durante il servizio militare. Egli ha raccolto tutto ciò  prima che sparisse. Ancora gli si chiede perché nel romanzo abbia  messo i proverbi popolari e le strofette. Risponde che i proverbi costituivano la  grande sapienza del popolo e quindi erano fondamentali  nella vita quotidiana, perché facevano da massime per l’edificazione morale. Un’altra domanda: “ La lingua che usa nel romanzo è  un impasto tra italiano, gergo dialettale, espressioni locali: è stato difficile scrivere così ? Perché ha fatto questa scelta ?” La risposta è:” Non è stato difficile, mi è bastato usare l’italiano mantenendo le  strutture sintattiche proprie del dialetto,irrobustendo il tutto con l’uso di espressioni gergali italianizzate. In questo modo mi è sembrato di raccontare  dall’interno del mondo contadino, parlando proprio  la loro lingua.”Gli si chiede poi se è importante conservare le caratteristiche della propria cultura e delle proprie tradizioni.  Che  cosa  possono fare i giovanissimi? La risposta è che non si può rinnegare il   progresso né uscire dalla storia. Intanto non bisogna vergognarsi  di avere in bocca,se ancora ci sono fortunati che lo posseggono,  un  linguaggio materno,un dialetto. L’ultima domanda:”Che cosa pensa della lettura a scuola?Serve o no? Lei ,da ragazzo,che cosa leggeva?” Risposta:”Le letture giovanili servono ad irrobustire la fantasia. La diversità tra un film e un libro sta nel fatto che la lettura permette una personale invenzione di scene, personaggi,azioni,fisionomie. Una partecipazione attiva,di fronte alla totale passività con cui si guarda un film. Da ragazzo ho letto moltissimo: tutto Dickens,Verne, Collodi, Cooper   e  persino Gautier di Capitan Fracassa ed altri. Allora possedevamo pochissimi libri. Io ho sempre amato di possederli,perché un libro    letto entra nel mio mondo,nel mio corpo. Dai nomi citati si capirà     che le mie letture erano casuali,procedevano per assaggi,ma tutte     si sistemavano nella lettura continua e quasi sistematica di una      “Enciclopedia della fiaba” che avevo preso in prestito      al     Centro di cultura popolare,delle” Mille e una notte” e de “Il Pentamerone “ ovvero “Lo intrattenimento de li peccerille” di Giambattista Basile.Io credo di aver assunto proprio da questa montagna di     favole la propensione per il fantastico e per tutto ciò che sta di  la’     dalla realtà.”
 Marietta  Gallo

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