“… si sentiva bruciato d’amor di
Dio”. Sono parole, quelle evidenziate da padre Giovanni Spagnolo nella
biografia del Beato Angelo d’Acri, che invitano alla riflessione così come la
presenza, qui ed ora, delle sue reliquie. Reliquie donate, accompagnate e
trasportate dai fedeli della comunità d’Acri a Cetraro sabato 5 marzo e
conservate nella Chiesa di S. Pietro Apostolo, dove Padre Angelo, al secolo
Luca Antonio Falcone, predicò come guardiano dello stesso convento (dal 1710).
La memoria della sua presenza,
resa più significativa dalla donazione di una reliquia, ci impone una
riflessione che possiamo racchiudere in due ordini di idee; il primo legato
alla spiritualità del Beato Angelo e il secondo relativo al senso di appartenenza
ad una comunità percepita nei suoi aspetti esistenziali più che locali.
Per quanto riguarda il primo
posso fare riferimento alla mia esperienza di ambientalista di Italia Nostra e
all’impegno, negli ultimi mesi, nell’organizzazione di una mostra “Camminando,
la bellezza” che mi hanno permesso di recuperare significati dimenticati,
alternativi al consumismo e all’idea di un profitto a tutti i costi. Parlare di
bellezza , oltre luoghi comuni, apre a valori etici e, soprattutto, alla
spiritualità. Le arti mediano quella spiritualità che ciascun uomo sente
appartenergli di diritto e d’altra parte lo stesso Friedrich sosteneva che
“L’artista non ha altra risorsa che il proprio io spirituale”. Vorrei ricordare,
a tal proposito il denso e particolareggiato discorso che papa Benedetto XVI
rivolse agli artisti il 21 nov. 2009 in cui coniuga, appunto, bellezza e
spiritualità.
La spiritualità del Beato Angelo
ha una sua bellezza, quella derivata da comportamenti d’apostolato, da una
testimonianza che rappresenta un vero e proprio modello alternativo a quello
predominante per il modo in cui sosteneva i poveri. La bellezza di scelte di
povertà, di una vita sobria nella quale emerge l’acclamazione gioiosa di Dio. La
stessa ironia.
Nella formazione umana la
consapevolezza della spiritualità come aspetto fondante, non come valore
aggiunto, ma caratteristica fondamentale che permette l’apertura all’altro e il
dono dei propri talenti, dovrebbe avere una particolare attenzione perché
richiama a valori di solidarietà e di collaborazione, non a quelli appunto
predominanti di prevaricazione e competizione. E’ comunicazione e desiderio di
mettersi in cammino in modo autentico, coerente, senza paure e tentennamenti, nel rispetto della legalità.
Questa spiritualità la ritroviamo, esteriormente, nella bellezza dell’architettura cappuccina di quel tempo cosparsa nei luoghi del
Tirreno cosentino che videro il pellegrinare di padre Angelo. Il saggio
impreziosito da tante immagini dell’architetto Carlo Andreoli, inserito negli
Atti, racconta di questo connubio
imprescindibile tra i segni del paesaggio e il carattere, la personalità, l’identità
delle persone.
D’altra parte, nella Prefazione al suo libro “Il progetto locale”,
divenuto un classico della letteratura ecosostenibile, Alberto Masnaghi avverte
che “Il territorio è un’opera d’arte”, in quanto come opera di trasformazione
della natura attraverso il sovrapporsi nel tempo storico di numerosi cicli di
civilizzazione, restituisce il valore antropologico ed etico di quella stessa
impronta, visibile esteticamente.
Il secondo ordine di idee
proviene dalla vita stessa del Beato Angelo, un “farsi pane” della santità come
afferma mons. Ermanno Raimondo nella presentazione agli atti, che ci introduce
ad una domanda esistenziale: poteva mai sentirsi straniero lontano dalla sua
città? Quale poteva essere il suo rapporto con i cittadini di Cetraro? Aspetti
che si evincono dalla sua biografia (pp. 42-44 degli Atti) e che ci inducono a
conoscere meglio la sua vita confrontandola con la nostra quotidianità intrisa
di pregiudizi nei confronti del diverso, quando la presenza di questa
memorabile figura calabrese, che vedeva nel volto dell’altro il volto di
Cristo, ci indica la strada dell’accoglienza, del sacrificio, del perdono.
Francesca Rennis
Nessun commento :
Posta un commento