A Cetraro ci fu storia prima e ce ne sarà dopo
l’assassinio di Giannino Losardo, ma nessuno potrà confondere l’una con l’altra
perché quell’efferato delitto di mafia fu spartiacque, cesura e ferita
nel corpo vivo della comunità.
Una ferita che a distanza di anni continua a
bruciare perché i colpevoli non furono mai trovati, come altre volte poi accadrà
nella guerra di mafia del martoriato Sud e nella stessa Cetraro. Il caso
irrisolto dell’assassinio di Angelo Vassallo, sindaco pescatore di Pollica, ne
è una tragica riconferma.
Con quell’efferato delitto un’antica comunità
di tradizioni benedettine, ricca di storia e di cultura, fu travolta e
sconvolta, spinta su uno strapiombo di morte.
Alle
sette di sera era già coprifuoco con “sacchi di sabbia alle finestre”, e porte
sbarrate. Il tempo che in genere si misura a passo di stagioni a quell’epoca si calcolava a ritmo di delitti.
Come
disse il PM Leonardo Rinella al processo, l’assassinio di Giannino Losardo avvenne in
un rapporto di connivenza e complicità tra diversi livelli.
Giannino, sindaco di Cetraro e segretario-capo
del tribunale di Paola, non era un eroe ma solo un uomo delle Istituzioni che
praticava e pretendeva il rispetto della legalità.
Pretesa bizzarra e inattuale sembrò ad alcuni
(gli scafati, i fatalisti, gli
inetti) perché, in un contesto sociale
ormai sfilacciato, la dea bendata dell’ingiustizia si ergeva ad idolo in un
coro di connivenza e omertà.
Alcuni pensarono, illudendosi, di trarre
beneficio e protezione dalla tirannia mafiosa che stava instaurandosi.
Giannino aveva capito tutto, forse sapeva troppo
per il doppio ruolo che svolgeva, amministratore a Cetraro e segretario-capo
nella Procura di Paola, e voleva infrangere l’ordito di quella trama infernale,
e perciò la mafia gli tappò la bocca in
una notte d’estate.
Quel
delitto non fu una nota a piè di pagina nella strategia ‘ndranghetista ma una
mossa fondamentale nell’ingabbiare il territorio nella morsa della paura.
Lo Stato, sì proprio lo Stato, nella sua veste più
importante, la magistratura appunto,
sembrò abdicare al ruolo di protezione e giustizia se è vero, come è vero, che quell’assassinio e tanti altri restarono
impuniti.
La
memoria ora mi trasporta in quella stanza d’ospedale, nell’attimo in cui ho visto e sentito Giannino, colpito al cuore, respirare affannosamente; e rivedo i volti dei
suoi cari – la moglie Rosina , i giovanissimi figli Angela e Raffaele – contratti dal dolore ma con la speranza accesa
negli occhi: si salverà, forse salverà la vita con un miracoloso intervento
chirurgico. Così non fu, inesorabile
arrivò la morte.
L’acqua tetra dello Stige sommerse la comunità
che sembrò annegare nello sconforto, nello smarrimento, nella paura.
Poi, con uno scatto d’orgoglio, in pochi cominciarono ad organizzarsi per
difendere la memoria di Giannino e la
dignità di un paese.
Punto di riferimento il compianto senatore
Francesco Martorelli, già impegnato in Parlamento in qualità di vice-presidente
della commissione antimafia.
Venne Enrico Berlinguer ai funerali, e una marea di
gente; seguirono altre manifestazioni con don
Riboldi, il vescovo anticamorra, e tutti gli studenti in piazza a
rivendicare futuro per questa terra bella e dannata.
La comunità, o parte di essa, non si rassegnò
alla consunzione come un osso di seppia prosciugato. E Giannino fu il simbolo della rinascita. Anzi “è il simbolo”,
perché dell’eroe non si può dire che è “accaduto” ma che tutto accade nel momento in cui si
ricorda. Come per Falcone e Borsellino e
tanti altri.
La Resistenza
prima e, in seguito la faticosa Rinascita della “polis”, si caratterizzano ora
attraverso segnali evidenti e
qualificanti.
-Anzitutto in memoria di Giannino fu istituito,
a cadenza annuale, un premio internazionale antimafia organizzato con sapiente
regia da “Il laboratorio Losardo”.
Tra i premiati risultano il prof. Nando dalla
Chiesa, il prof. Gianni Vattimo, i procuratori antimafia Cafiero De Raho e Gratteri , don Ciotti e tante
altre personalità impegnate nella cultura e nella lotta alla mafia.
-Amministratori
lungimiranti (sì, capita anche questo nel derelitto Sud) s’impegnarono, oltre
che a difendere la memoria di Giannino, in opere pubbliche di risanamento del
tessuto urbanistico e nei servizi
sociali. Il bellissimo lungomare è un esempio eloquente di come una zona
“degradata” possa essere restituita alla
sua originaria bellezza. E inoltre la tradizione benedettina, il restauro delle
opere, il museo dei Brettii , unico nel suo genere in Calabria, sono lì a testimoniare che la cultura è
“portatrice sana” di riscatto e sviluppo.
- La Scuola, l’Istituto Silvio Lopiano, vero
fiore all’occhiello dell’istruzione dell’intero comprensorio, ha svolto e svolge
un ruolo fondamentale per l’educazione delle nuove generazioni. All’avanguardia
nella ricerca e nella sperimentazione, e senza trascurare la tradizione
classica, ultimamente è stato insignito del premio per la legalità da parte del
Presidente della Repubblica.
- La Chiesa, con preti di strada e d’intelletto,
e in collaborazione con Libera,
presidio importante di socialità e legalità in una forma di associazionismo non
solo ricreativo ma anche solidale e
operativo a più livelli.
- La Pro-Loco Civitas Citrarii che, nei momenti di bufera in cui tutto sembrava
travolto dall’onda funesta, ha saputo tener viva la memoria salvaguardando
le tradizioni e recuperando “scomparti”
di storia.
Ma con
tutto questo il paese è salvo? No, direi di non indulgere in facile ottimismo.
Troppi sono i problemi che incombono, e che qui mi risparmio dall’elencare. Uno più che altro mi preme ed è il futuro, il
futuro dei giovani, il loro ruolo nel contesto sociale, anzitutto il lavoro per
impedire la fuga forzosa delle intelligenze vive.
Giannino non fu solo baluardo di legalità, ma
anche segno d’appartenenza e di speranza. Non tradiamo il suo messaggio, accogliamolo
con i versi di Omero come auspicio: Itaca è in riva al mare, in quell’ombra
dove nasce Aurora.
Enzo Pellegrino