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martedì 26 gennaio 2016

Il Fiore di ogni dove a Cetraro

Un Festival di respiro internazionale, ideato e diretto dalla scrittrice Matilde Tortora, che ha avuto il merito di attrarre a Cetraro personalità di prestigio del mondo cinematografico nel corso delle nove edizioni del Fiore di ogni dove, organizzate dal Laboratorio sperimentale Giovanni Losardo e dall’associazione Gesmundo di Napoli, che si sono tenute tra il 2005 e il 2013.

Sin dall’esordio, il Festival si è avvalso del prestigioso apprezzamento di Mario Monicelli, che ha successivamente accettato la presidenza onoraria, come risulta dall’intervista di Virginia Barret al grande regista, inclusa nel cortometraggio del cetrarese  Daniele Maltese, dedicato al grande Maestro.

Robert Kalman, membro dell’esecutivo dell’Unesco di Parigi, Anna Kiss, attrice ungherese che ha collaborato con Luchino Visconti, il regista francese Hoel Caouissine, la regista russa Irina Litmanovich, il regista messicano Jonathan Ostos Iaber, la regista polacca Joanna Jasiñska, il regista inglese Max Hattler e i registi francesi Julie Rembauville e Nicolas Bianco-Levrin  hanno ritirato a Cetraro il Cristo d’argento e il Premio Simona Gesmundo, assegnato ai corti di animazione, che hanno rappresentato il tratto distintivo dell’importante evento cinematografico, che ha ottenuto il patrocinio dell’Asifa, associazione mondiale dei corti di animazione.

Il regista italiano Simone Massi, la saggista Francesco Chirico, l’attrice Valeria Moretti e il giornalista televisivo Michele Cucuzza, insieme a tanti altri, hanno contribuito a conferire spessore e prestigio al Festival, che si è svolto al Teatro comunale, nella sala conferenze della Colonia San Benedetto e a Palazzo Del Trono.

Un contributo culturale eccezionale, particolarmente meritevole, anche perché è riuscito a conquistare il pubblico cetrarese e calabrese anche in virtù della enorme risonanza mediatica che l’evento ha ottenuto nel corso degli anni.

Basti citare lo spazio riservato al Festival in Quaderni di cinema Sud e alle pubblicazioni cinematografiche tra cui Parole d’amore per la letteratura e per il cinema a cura di Matilde Tortora e Margherita Ganeri con la prefazione di Francesca Villani, responsabile editoria e comunicazione del Laboratorio Losardo.


Gaetano Bencivinni

lunedì 11 gennaio 2016

Dacia Maraini a Cetraro. Anno 1993

“Bagheria è una città di mafia, ma è meglio non dirlo”. Anche Cetraro è una cittadina di mafia, ma è meglio non parlarne.

Limoni, fichidindia, gelsomino. Cedro, limoncello, liquirizia.

La mafia non esiste. E’ una favola. Come dice un personaggio del romanzo Bagheria di Dacia Maraini, è “roba per turisti”.

Dunque, per non deludere don Mariano Arena, protagonista del romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta, è preferibile parlare, diciamo così, di altre specialità siculo - calabresi.

Pane con milza  o con panelle, pasta con le sarde, sarde a beccafico, cannoli, cassata, arancini, iris, gelati al gelsomino. Piticelle, lagana e ceci, patate e peperoni, salsiccia, soppressate, capocollo, turdilli, pitta mpigliata, pastiera.

La scrittrice Maraini ha tenuto nel 1993 a Cetraro una conferenza, organizzata dal Liceo scientifico nell’ambito della Settimana della cultura scientifica. Un evento culturale di notevole valenza che ha visto protagonisti tanti studenti, numerosi insegnanti e tanti cittadini, che hanno partecipato all’iniziativa, contribuendo ad arricchire il confronto culturale con la scrittrice, che in modo brillante ed efficace si è soffermata su tanti aspetti dei suoi romanzi e sui nuovi orizzonti della letteratura.

L’evento è stato ripreso e trasmesso dall’emittente locale Teleradioimmagine di Paola. La relazione introduttiva di Gaetano Bencivinni è stata inclusa nel volume Intervento a rete, edito dalla casa editrice Periferia di Cosenza.

Per l’amministrazione comunale è intervenuto il sindaco Benedetto Guaglianone. A fare gli onori di casa è stato il vicepreside Antonio Ferrazzo.
Quasi un ventennio dopo, la scrittrice è ritornata a Cetraro, su invito dell’associazione culturale Cantiere Sociale Santa Lucia presieduta dalla giovane cetrarese Carmen Onorato.

In quella occasione Dacia Maraini si è soffermata sulla questione femminile. L’evento si è svolto al teatro comunale alla presenza di un pubblico attento, che ha partecipato al confronto culturale con significativi interventi. L’architetto cetrarese Claudio Losardo ha definito l’incontro “un evento di portata storica”.

Il Laboratorio Sperimentale Giovanni Losardo ha consegnato alla scrittrice lo Scrigno della legalità.


A rappresentare la città è stato Beniamino Iacovo, presidente del Consiglio comunale.

giovedì 7 gennaio 2016

Il fuoco del cannone

C’è una pagina del romanzo L’opera al nero di Marguerite Yourcenar, che fa riferimento ai consigli tecnici che il protagonista dell’opera letteraria Zenone l’alchimista dà al pirata Ariadeno Barbarossa quando salpava da Algeri con la sua flotta per dirigersi alla volta delle coste tirreniche calabresi nell’ambito del grande conflitto di quegli anni tra i Cristiani e i Musulmani.

Questo, sul piano letterario,  indica la portata storica di quella fase conflittuale tra le due civiltà all’interno della quale si è verificato il saccheggio di Cetraro e di San Lucido, che ha determinato l’inizio del tramonto della grande fortezza calabrese Athena Calabra , ovvero l’antica Cetraro.

Un nodo storico di cui si sono occupati tanti storici locali tra cui il cetrarese Leonardo Iozzi, che ha avuto il merito di strappare alle spire delle tenebre dell’oblio tanti documenti e tante informazioni utili per ricostruire questo importante periodo vissuto dalla cittadina tirrenica.

Un contributo significativo, almeno sul piano divulgativo, è stato dato anche dal Liceo scientifico di Cetraro, che tra i suoi progetti didattici ha incluso anche lo studio di questa fase storica culminata con la pubblicazione del libretto La Turricella, avvenuta nei primi anni del Novanta.

In precedenza la rivista Unità sindacale aveva dedicato qualche articolo aquesto specifico argomento nell’ambito del più ampio progetto di recupero delle tradizioni popolari, linguistiche e culturali della cittadina tirrenica.

Nel 2012,avvalendosi delle  nuove tecnologie comunicative, il cetrarese Daniele Maltese ha realizzato il cortometraggio Il fuoco del cannone, che ripropone questa vicenda storica con i riflettori puntati sulla persistente attualità dello scontro di civiltà, che tuttora persiste e rappresenta una emergenza del mondo contemporaneo.

Il cortometraggio è stato proiettato al Teatro comunale nell’ambito di una Vetrina film Cetraro, organizzata dal Laboratorio Sperimentale Giovanni Losardo e dalla Pro loco Civitas Citrarii, presieduta da Ciro Visca.


di Gaetano Bencivinni

martedì 5 gennaio 2016

Ignazio Buttitta a Cetraro. Anno 1982

Ci sono pagine significative del romanzo di Carlo Levi Le parole sono pietre, che è opportuno richiamare al fine di  agevolare la narrazione di tre eventi culturali rilevanti, che si sono  tenuti a Cetraro nell’ambito della programmazione culturale che l’amministrazione comunale dell’epoca portava avanti con la finalità di contrastare la controffensiva malavitosa, che aveva trasformato la tranquilla cittadina tirrenica in un vero e proprio teatro di sanguinosa conflittualità omicida.

Lo scrittore piemontese , raccontando i suoi viaggi in Sicilia, è colpito dalle ville settecentesche di Bagheria, dal lungo corso che attraversa la città e che la collega alla sua marina, Aspra e si sofferma sui carretti dipinti dai fratelli Ducato raffiguranti le vicende dei paladini di Francia.

Nello stesso romanzo Levi narra  anche del tragico assassinio mafioso di Salvatore Carnevale, avvenuto a Sciara negli anni Cinquanta.

L’Opera dei pupi costituisce un pezzo rilevante della tradizione popolare siciliana, che in quegli anni era rappresentata nei centri del palermitano dai fratelli Cuticchio, un gruppo teatrale di rilevante prestigio.

In quegli anni a Cetraro i Cuticchio in Piazza del popolo hanno rappresentato le vicende di Orlando e Rinaldo, accogliendo l’invito dell’amministrazione comunale.

Di quella rappresentazione si può trovare traccia nella preziosa biblioteca del medico cetrarese  Ippolito Ciardullo, che ha avuto la brillante idea di riprendere l’evento con la sua cinepresa.

Il cantastorie Nonò Salomone, qualche mese dopo, si è esibito in piazza del popolo e ha narrato la tragica fine di Salvatore Carnevale. Un richiamo significativo importante, che avveniva in quel contesto sociale cetrarese in cui qualche anno prima era stato assassinato dalla mafia Giovanni Losardo.

L’evento culturale, che può considerarsi di portata storica, è costituito dalla recita del poeta dialettale Ignazio Buttitta, che nella sala consiliare della cittadina tirrenica ha entusiasmato il pubblico con il suo straordinario ed eccezionale modo di porgere il suo messaggio poetico.


Un contributo di grande spessore, che certamente ha avuto il merito di alimentare la convinzione che la cultura può uccidere la mafia.

di Gaetano Bencivinni

domenica 3 gennaio 2016

Un ponte culturale tra Bagheria e Cetraro

La rivista Unità Sindacale, quaderni bimestrali di politica, economia e sociolinguistica, a cura di Antonino e Gaetano Bencivinni,  ha rappresentato, nell’arco di tempo che va dal 1976 al 1980, un ponte culturale che ha collegato Cetraro, piccolo centro calabrese, con Bagheria, grosso centro siciliano, definito La principessa dei paesi per aver dato i natali al pittore Renato Guttuso, al poeta dialettale Ignazio Buttitta, al regista Giuseppe Tornatore.

La rivista Cetraro – bagherese ha seguito le vicende sindacali del polo tessile ex Faini di Cetraro, ha raccolto storie locali, tradizioni popolari e dialettali di Cetraro e di Bagheria.

Nell’ambito dei 20 numeri pubblicati vanno segnalati interventi di autorevoli personalità politiche come Francesco Martorelli, Stefano Rodotà, Giacomo Mancini e Ugo Pecchioli.

Il tratto distintivo del periodico era costituito dall’attenzione rivolta alla sociolinguistica con la pubblicazione delle tesi del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica ) e di interventi di autorevoli linguisti come Raffaele Simone, Daniele Gambarara, Luigi Rosiello, Franco Lo Piparo e Tullio De Mauro.

I principali contributi di sociolinguistica sono stati raccolti nel volume Culture di paesi a cura di Gaetano Bencivinni e Antonino Bencivinni, pubblicato dalla casa editrice Dell’Orso di Alessandria nel 1981.

Antonino Bencivinni, referente bagherese della rivista, ha pubblicato numerosi articoli su Don Lorenzo Milani, che ha incluso nel suo volume Scritti linguistici, edito nel 1978 dalla casa editrice Conte di Napoli.

Numerosi  sono stati i Cetraresi che hanno collaborato con Unità Sindacale: Giovanni Losardo, sindaco nel 1976, Fausto Gallo e Raffaele La Costa esponenti della UIL locale, Antonio Scorzo, esponente della CISL e tanti giovani emergenti come Carlo Andreoli, ed altri. A questo proposito è importante segnalare il primo articolo dello studente liceale Amedeo Ricucci, oggi giornalista professionista di prestigio internazionale.

L’idea di dar vita ad una rivista così caratterizzata è nata nel 1974 in occasione della conferenza di Tullio De Mauro Linguaggio, scuola e stratificazione sociale nell’Italia contemporanea, che ha tenuto a Cetraro accogliendo l’invito di un centro di cultura cetrarese, che ha organizzato l’evento nella sala consiliare.

Tale iniziativa è stata propiziata dall’intervento decisivo del bagherese Franco Lo Piparo, allievo del grande linguista.
Lo Piparo nel 1976 ha scritto la prefazione a Scritti epistemologici di Marx ed Engels, curata da Gaetano Bencivinni e Luciano Conte, edito dalla casa editrice Conte di Napoli. Il volume è stato adottato da numerosi licei calabresi.


L’ultimo numero della rivista  è stato interamente dedicato all’assassinio di Giovanni Losardo avvenuto il 21 giugno del 1980 a Cetraro. Il quaderno n. 20 contiene le foto del funerale   a cui ha partecipato il segretario nazionale del PCI Enrico Berlinguer.

venerdì 1 gennaio 2016

Il silenzio di Marianna Ucrìa

L’influenza di Hume, il silenzio delle donne, la Sicilia come mito sono i punti salienti del romanzo di Dacia Maraini La lunga vita di Marianna Ucrìa.

L’influenza di Hume

Un primo aspetto è quello che nel 18° capitolo di La lunga vita di Marianna Ucrìa l’autrice affronta a proposito del rapporto con il filosofo Hume. Lì c’è proprio la chiave filosofico- interpretativa che sta alla base di una concezione complessiva che traspare attraverso tutti i romanzi dell’autrice. Lì è chiaramente evidenziata la convinzione che il nostro io sia un aggregato di impressioni, una massa appercettiva che si forma attraverso una serie di esperienze che noi portiamo sin dall’infanzia e che dà vita alla nostra personalità, che diventa anche soggettività, memoria, ricordo, capacità di verificare impressioni collegate tra loro da una connessione oggettiva regolare scientificamente controllabile.

Come è noto, Hume è un filosofo scettico, che individua la coerenza interpretativa dell’esterno attraverso la nostra interiorità.

Si tratta di una specifica funzione ideologica che ciascuno di noi svolge, attraverso una categoria che è dentro di noi e che ci consente di leggere e di interpretare la realtà circostante, trasfigurandola, interpretandola alla luce della nostra specifica massa appercettiva.

Questa categoria interiore è l’abitudine, che diventa credenza, convenzione, residuo rigido, che chiude e impedisce la nostra compiuta realizzazione, ma che allo stesso tempo può essere il filtro che ci consente di rileggere e di rivedere attraverso questi fasci di appercezione, che costituiscono la nostra personalità.

Credo che questo libro, scoperto per caso da Marianna Ucrìa in biblioteca, lasciatole lì da un amico, un certo Grass, possa essere importante per capire come questo personaggio del ‘700, particolarmente moderno, viva drammaticamente il problema del femminismo, del ruolo della donna nella società.

Ci troviamo in presenza di un personaggio sordomuto, che ha avuto tale menomazione a causa della violenza carnale subita da parte dello zio Pietro, a cui poi viene data in sposa all’età di tredici anni dal padre, risolvendo così la questione tra uomini. Di queste vicende infatti non bisognava parlare e non bisognava fare scandalo, secondo una buona tradizione della cultura siciliana.

Il silenzio delle donne

Il mutismo di Marianna Ucrìa può essere interpretato simbolicamente come il silenzio della donna che reagisce così rispetto al dominio, rispetto alla cultura dominante, caratterizzata dal maschilismo che interpreta il rapporto con la donna, assegnandole un ruolo di subordinazione. La condizione di Marianna, in quanto donna, è quella di dover subire le prepotenze dell’uomo a partire dalla stessa sessualità che ella vive in modo drammatico per tutta la vita, dalla violenza subita a sei anni fino ad arrivare al rapporto con il marito che ella definisce una specie di castigo di Dio, una sorta di sofferenza, un prezzo che ogni donna deve pagare.

Si apre una nuova problematica nel momento in cui Marianna Ucrìa scopre l’amore. Lo scopre in seguito ad un rapporto con un ragazzo selvatico, Saro, rispetto a cui ha subito un certo fascino da sempre.

Questa è una pagina bellissima descritta con grandissima abilità, ma anche con una grandissima sensibilità. Con questo rapporto in Marianna Ucrìa sboccia un amore autentico. Nel momento in cui lei scopre l’amore diventa da muta per forza, muta per scelta, perché comincia ad orientare la sua vita in modo totalmente libero.

Ella acquista il coraggio anche per sfidare le convenzioni che hanno rappresentato e rappresentano per lei un vicolo stretto rispetto a cui ha reagito. Il suo è l’atteggiamento di chi usa l’essere muta come una protezione aggiuntiva per potersi ritagliare un suo spazio, un suo cantuccio, in polemica con il convenzionalismo dominante.

Credo che questa sia una tematica interessante perché ci dà la visione della donna nella contemporaneità.

Anche nel romanzo Bagheria questa tematica ritorna. Dalla protagonista Marianna Ucrìa, si passa alla protagonista Dacia Maraini nel senso che Bagheria è un libro autobiografico che mette in evidenza questa straordinaria sensibilità della donna in quanto donna, questa capacità di leggere la realtà circostante attraverso quel fascio di impressioni di cui parlavo prima, che costituisce la nostra personalità rispetto a cui le esperienze drammatiche, il sentimento tragico che deriva dall’aver subito violenza, costituiscono una delle tecniche che sta alla base della trasfigurazione artistica della Maraini.

La Sicilia come mito

Nel suo linguaggio è presente una ricchezza descrittiva dei particolari, che potrebbe far pensare ad un realismo, ma che in realtà dà alla fine un risultato mitico in cui giocano un ruolo importante Bagheria e l’infanzia. Tutto ciò costituisce l’aspetto mitico della Sicilia che credo saldi la produzione letteraria della Maraini con la tradizione siciliana da Verga a Pirandello, a Sciascia. Questo filone pone il problema del rapporto dello scrittore siciliano che guarda la Sicilia da fuori. Il problema che si pone è: questa Sicilia è la Sicilia che realmente è, o è una Sicilia mitizzata che assume le connotazioni, le caratteristiche di questa rilettura trasfigurata che passa attraverso un’esperienza soggettiva in cui il mito Sicilia e infanzia s’identificano?

In alcune pagine di Bagheria ho individuato una sorta di messaggio, anche politico, forte, nel momento in cui c’è una descrizione minuziosa e attenta di come la mafia, con il processo di urbanizzazione selvaggio, abbia finito con lo snaturare, deformare e distruggere un patrimonio artistico come le famose ville di Bagheria tra cui villa Valguarnera.

Anch’essa viene descritta, secondo la mia lettura, con una ricchezza di dettagli, di particolari e con una sensibilità che richiama il modo personale della Maraini di “rileggere”, di rivedere i luoghi della propria infanzia in cui sogno e realtà si mescolano, in cui ogni particolare assume un valore simbolico.

Ritengo che le tematiche presenti nella produzione letteraria della Maraini siano anche altre, ma ho voluto sottolineare queste che mi sembravano gli aspetti più significativi e più forti.

Una scrittrice impegnata

Anche nel romanzo Bagheria questa tematica ritorna. Dalla protagonista Marianna Ucrìa, si passa alla protagonista Dacia Maraini nel senso che Bagheria è un libro autobiografico che mette in evidenza questa straordinaria sensibilità della donna in quanto donna, questa capacità di leggere la realtà circostante attraverso quel fascio di impressioni di cui parlavo prima, che costituisce la nostra personalità rispetto a cui le esperienze drammatiche, il sentimento tragico che deriva dall’aver subito violenza, costituisce una delle tecniche che sta alla base della trasfigurazione artistica della Maraini.

Credo che nel suo linguaggio sia presente una ricchezza descrittiva dei particolari, che potrebbero far pensare ad un realismo, ma che in realtà danno alla fine un risultato mitico in cui giocano un ruolo importante Bagheria e l’infanzia. Tutto ciò costituisce l’aspetto mitico della Sicilia che credo saldi la produzione letteraria della Maraini con la tradizione siciliana da Verga a Pirandello, a Sciascia. Questo filone pone il problema del rapporto dello scrittore siciliano che guarda la Sicilia da fuori. Il problema che si pone è: questa Sicilia è la Sicilia che realmente è, o è una Sicilia mitizzata che assume le connotazioni, le caratteristiche di questa rilettura trasfigurata che passa attraverso un’esperienza soggettiva in cui il mito Sicilia e infanzia s’identificano?

In alcune pagine di Bagheria ho individuato una sorta di messaggio, anche politico, forte, nel momento in cui c’è una descrizione minuziosa e attenta di come la mafia, con il processo di urbanizzazione selvaggio, abbia finito con lo snaturare, deformare e distruggere un patrimonio artistico come le famose ville di Bagheria tra cui villa Valguarnera. Anch’essa viene descritta, secondo la mia lettura, con una ricchezza di dettagli, di particolari e con una sensibilità che richiama il modo personale della Maraini di “rileggere”, di rivedere i luoghi della propria infanzia in cui sogno e realtà si mescolano, in cui ogni particolare assume un valore simbolico.

Ritengo che le tematiche presenti nella produzione letteraria della Maraini siano anche altre, ma ho voluto sottolineare queste che mi sembravano gli aspetti più significativi e più forti.

 Gaetano Bencivinni