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lunedì 6 febbraio 2017

Il filo della cultura per non perdere la memoria

Significativo e pregnante il tema proposto da Federanziani Calabria in collaborazione con Senior Italia che con il progetto Il filo della cultura per non perdere la memoria  ha voluto tessere un doppio legame.
Un filo che ci lega al nostro passato, a quello scrigno che contiene la cultura materiale e simbolica di un popolo, di cui è segno la sciarpa della pace, confezionata dai nonni della Calabria e consegnata al sindaco di Tarsia.
 Un filo che ha legato tante donne dei centri sociali anziani e filo che ci lega alle donne dei centri sociali di altre regioni. Legami che producono comunione quindi pace.
Il nostro patrimonio culturale va salvaguardato perché in un mondo sempre più globalizzato, che tende ad annullare le diverse specificità, è come una coltre avvolgente, familiare che riscalda ma non soffoca.Non  corazza, entro cui rifugiarsi per sfuggire alla relazione con l’altro, col diverso, spazio circoscritto da difendere a tutti i costi ma base su cui costruire una nuova appartenenza in una società eterogenea e multiculturale qual è quella che si va profilando anche nei nostri piccoli centri.

Un  filo che ci lega ad un evento tragico della vita dell’umanità di cui il campo di concentramento di Ferramonti e soprattutto il lager di Auschwitz sono luoghi cruciali della memoria novecentesca.
Auschwitz poi ha rappresentato una rivoluzione nel modo del ricordare, tanto da farci  recuperare il senso etimologico del termine ri- cordare. Ricordare è riportare al cuore, è memoria  e memoria è rendere presente il passato, è sentire sulla propria pelle il dolore, lo straniamento, la perdita della speranza,  la demolizione dell’uomo. Difficile definire i sentimenti che hanno agitato il cuore di milioni di Ebrei, omosessuali, slavi, disabili, donne, uomini, bambini nei campi di sterminio. Ricordare quindi per non scordare, cioè per non perdere dal cuore.

Sono trascorsi più di 70 anni, l’arco di una vita, per cui  la generazione dei testimoni va esaurendosi. Poiché la memoria è un  dovere umano reso assoluto e imperativo, dopo gli orrori dello sterminio,sorge un interrogativo.
Chi terrà desta nelle giovani generazioni la memoria di eventi così atroci?
Ed ecco che interviene il filo della cultura così come dice il titolo del progetto.
Quale cultura della memoria? La cultura che utilizza nuovi sostegni, nuove forme e nuovi linguaggi che fanno leva sull’immaginazione. Quindi i documenti storici, i musei, ciò che i giovani apprendono nei libri di Storia viene arricchito dai messaggi veicolati dai nuovi mezzi di comunicazione(film, opere teatrali, fiction …)
Il ricordare non deve divenire , però, un rito, celebrato il quale, tutto ritorna come prima. No, non è questo il senso del ricordo.
La memoria va coltivata quotidianamente, nelle scuole con percorsi didattici attivi tutto l'anno, costruiti insieme ai soggetti presenti sul territorio, a partire dai musei e dalle istituzioni culturali, va coltivata nella vita di tutti i giorni.
Dice Levi in Se questo è un uomo,  stando in casa, andando per via/ coricandovi, alzandovi.

La memoria è scomoda. Comporta una assunzione di responsabilità.
Levi, sopravvissuto ai lager nazisti, nel suo libro I sommersi e i salvati mette in guardia dal fare della memoria un semplice ricordo. Egli,chimico di professione, diviene scrittore per necessità. La necessità e l’urgenza di testimoniare perché non accada più  ciò che è accaduto.
Se è accaduto, afferma Levi, può accadere ancora. Si può ripeter in forme diverse.
Certamente sarà difficile che si verifichino simultaneamente tutti i  fattori che hanno scatenato  la follia nazista, ma ci sono segni precursori che bisogna imparare a cogliere: la violenza,la paura del diverso, dello straniero, il razzismo.
Quando sorge un nuovo  istrione,  un incantatore , un trascinatore di folle, che teorizza questi fattori, li legalizza e dichiara la violenza necessaria, tutto quel che è accaduto si può ripetere.
Noi sappiamo che è  già accaduto in Argentina, nell’ex Iugoslavia, in Burundi, in Ruanda.

Allora ecco il ruolo della cultura, degli intellettuali. La cultura deve essere la sentinella che nel buio della notte discerne i segnali di una follia collettiva e accende la fiaccola dello spirito critico, dello studio, della riflessione, del confronto razionale. Certamente il letterato deve basare il suo agire nella società sull’etica  dell’accoglienza, dell’inclusione, su valori universali come la pace, la non violenza , sul valore della diversità.
di Rosa Randazzo

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