Significativo
e pregnante il tema proposto da Federanziani Calabria in collaborazione con Senior
Italia che con il progetto Il filo della
cultura per non perdere la memoria ha
voluto tessere un doppio legame.
Un
filo che ci lega al nostro passato, a quello scrigno che contiene la cultura
materiale e simbolica di un popolo, di cui è segno la sciarpa della pace,
confezionata dai nonni della Calabria e consegnata al sindaco di Tarsia.
Un filo che ha legato tante donne dei centri sociali
anziani e filo che ci lega alle donne dei centri sociali di altre regioni.
Legami che producono comunione quindi pace.
Il
nostro patrimonio culturale va salvaguardato perché in un
mondo sempre più globalizzato, che tende ad annullare le diverse specificità, è
come una coltre avvolgente, familiare che riscalda ma non soffoca.Non corazza, entro cui rifugiarsi per sfuggire
alla relazione con l’altro, col diverso, spazio circoscritto da difendere a
tutti i costi ma base su cui costruire una nuova appartenenza in una società
eterogenea e multiculturale qual è quella che si va profilando anche nei nostri
piccoli centri.
Un filo che ci lega ad un evento tragico della
vita dell’umanità di cui il campo di concentramento di Ferramonti e soprattutto
il lager di Auschwitz sono luoghi cruciali della memoria novecentesca.
Auschwitz
poi ha rappresentato una rivoluzione nel modo del ricordare, tanto da farci recuperare il senso etimologico del termine ri- cordare. Ricordare è riportare al
cuore, è memoria e memoria è rendere
presente il passato, è sentire sulla propria pelle il dolore, lo straniamento,
la perdita della speranza, la demolizione
dell’uomo. Difficile definire i sentimenti che hanno agitato il cuore di
milioni di Ebrei, omosessuali, slavi, disabili, donne, uomini, bambini nei
campi di sterminio. Ricordare quindi per non scordare, cioè per non perdere dal
cuore.
Sono
trascorsi più di 70 anni, l’arco di una vita, per cui la generazione dei testimoni va esaurendosi. Poiché la memoria è un
dovere umano reso assoluto e imperativo, dopo gli orrori dello sterminio,sorge un interrogativo.
Chi terrà
desta nelle giovani generazioni la memoria di eventi così atroci?
Ed ecco che
interviene il filo della cultura
così come dice il titolo del progetto.
Quale cultura
della memoria? La cultura che utilizza nuovi sostegni, nuove forme e nuovi linguaggi
che fanno leva sull’immaginazione. Quindi i documenti storici, i musei, ciò che
i giovani apprendono nei libri di Storia viene arricchito dai messaggi veicolati
dai nuovi mezzi di comunicazione(film, opere teatrali, fiction …)
Il
ricordare non deve divenire , però, un rito, celebrato il quale, tutto
ritorna come prima. No, non è questo il senso del ricordo.
La memoria va coltivata
quotidianamente, nelle scuole con percorsi didattici attivi tutto l'anno,
costruiti insieme ai soggetti presenti sul territorio, a partire dai musei e
dalle istituzioni culturali, va coltivata nella vita di tutti i giorni.
Dice Levi in Se
questo è un uomo, stando in casa, andando per via/
coricandovi, alzandovi.
La memoria è scomoda.
Comporta una assunzione di responsabilità.
Levi, sopravvissuto ai
lager nazisti, nel suo libro I sommersi e
i salvati mette in guardia dal fare della memoria un semplice ricordo. Egli,chimico
di professione, diviene scrittore per necessità. La necessità e l’urgenza di
testimoniare perché non accada più ciò
che è accaduto.
Se è accaduto, afferma
Levi, può accadere ancora. Si può ripeter in forme diverse.
Certamente sarà difficile
che si verifichino simultaneamente tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma ci sono segni precursori
che bisogna imparare a cogliere: la violenza,la paura del diverso, dello
straniero, il razzismo.
Quando sorge un nuovo istrione,
un incantatore , un trascinatore di folle, che teorizza questi fattori,
li legalizza e dichiara la violenza necessaria, tutto quel che è accaduto si
può ripetere.
Noi sappiamo che è già accaduto in Argentina, nell’ex
Iugoslavia, in Burundi, in Ruanda.
Allora ecco il ruolo della
cultura, degli intellettuali. La cultura deve essere la sentinella che nel buio
della notte discerne i segnali di una follia collettiva e accende la fiaccola
dello spirito critico, dello studio, della riflessione, del confronto
razionale. Certamente il letterato deve basare il suo agire nella società
sull’etica dell’accoglienza,
dell’inclusione, su valori universali come la pace, la non violenza , sul
valore della diversità.
di Rosa Randazzo
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