Fare quattrini a palate e spendere allegramente per tutta la vita.
Con questa bussola ideologica borghese salpa da Bristol intorno
alla metà del 1700 una goletta, messa a disposizione da un cavaliere britannico,
con a bordo una ciurma composita con bucanieri infiltrati sotto l’abile regia
dello spregiudicato John Silver, personaggio ambiguo, opportunista e senza scrupoli del romanzo L’isola del tesoro di Robert L.
Stevenson.
La ciurma, istigata da Silver, si ammutina, allorché la goletta
approda in quella maledetta isola in cui il terribile capitano Flint aveva
nascosto il suo tesoro, accumulato con sanguinari atti di pirateria.
Il romanzo si fa apprezzare per lo spirito di avventura che lo
attraversa. E’ particolarmente interessante tuttavia l’intreccio delle vicende,
alimentato dalla forza attrattiva del denaro, che è la vera divinità al cui
altare si possono tranquillamente sacrificare valori e principi. Unica regola è
mettere le mani sul tesoro anche se bisogna passare attraverso crimini, inganni
e tradimenti.
La figura di Silver è da questo punto di vista emblematica e
ricorda molto da vicino il galeotto Vautrin del romanzo Papà Goriot di Honorè
de Balzac.
Entrambi i personaggi tessono le lodi dell’ambizione personale,
della ricerca del successo, dell’accumulazione delle ricchezze su cui costruire
la scalata sociale e il quieto vivere.
In Silver come in Vautrin si individuano i tratti distintivi della
figura del borghese, che si affaccia prepotentemente nella storia con la forza
dirompente della caccia al tesoro, del perseguimento del massimo profitto,
della perversa logica dell’avere senza tener conto di regole morali che vanno
asservite al cinico obiettivo di fare
quattrini.
Gaetano
Bencivinni
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