Nel romanzo I viceré di
Federico de Roberto il gattopardismo attraversa la narrazione delle vicende
della nobile famiglia degli Uzeda, che si svolgono in Sicilia tra il 1855 e il
1882.
Un arco di tempo, caratterizzato dal passaggio dalla monarchia
borbonica alla monarchia sabauda, in cui la nobiltà siciliana è chiamata a
compiere una scelta di campo e ad adeguarsi alle esigenze del nuovo stato
unitario, per mantenere la preminenza nelle gerarchie sociali.
Il duca Gaspare Uzeda e il principino Consalvo aderiscono al
liberalismo dello Stato italiano ed accedono alla carica di deputato nel
Parlamento nazionale, contribuendo così a conservare e rafforzare il potere
della famiglia.
Lucrezia Uzeda sposa il liberale Benedetto Giulente. Persino
l’ultraborbonico don Blasco, dopo il successo delle sue speculazioni
finanziarie, saluta con un plauso la conquista sabauda di Roma del 1870.
A conclusione del romanzo, Consalvo spiega alla vecchia zia Ferdinanda, rimasta fedele
alla monarchia borbonica, che l’unica scelta coerente da fare nella situazione
che si era venuta a creare era quella di
aderire allo Stato liberale al fine di perpetrare il potere degli Uzeda.
Se si vuole che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. E’
questa la celebre espressione gattopardesca che il nobile Tancredi Falconeri,
personaggio di spicco del romanzo di Giuseppe Tomasi Il gattopardo, usa per giustificare la sua adesione al movimento
garibaldino e alla rivolta siciliana contro la monarchia borbonica.
Il principe don Fabrizio Salina ingoia il rospo del matrimonio di
Tancredi con Angelica, figlia dell’avido arrampicatore sociale don Calogero
Sedara e nipote di Peppe Giunta, detto Merda
e morto di lupara.
I nobili cambiano bandiera e mantengono ricchezze, prestigio,
potere e privilegi di casta. Il popolo invece, per dirla con il capomafia don
Mariano Arena, “cornuto era e cornuto rimane”. I villani cercano terra e
libertà e si ritrovano in galera o finiscono appesi ad una forca. Tasse e
servizio di leva obbligatorio alimentano il brigantaggio, che le baionette
piemontesi stroncano con spietata violenza.
Gaetano
Bencivinni
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