Il ritorno a casa è un classico nel panorama letterario mondiale. Basti
pensare al ritorno di Ulisse ad Itaca nel poema omerico.
La casa, come guscio protettivo, assume una pluralità di
significati nella produzione letteraria di tanti scrittori. Tetto e patria in
Ugo Foscolo, nido in Giovanni Pascoli, tana e richiamo della foresta con il canto
del branco in Jack London, rifugio e fuga dal mondo nel romanzo La casa in
collina di Cesare Pavese.
In questa cornice letteraria si colloca il romanzo La luna e i
falò di Pavese con il ritorno a casa di Anguilla, un bastardo contadinello,
emigrato dal Piemonte in America per fare fortuna.
Anguilla, ormai benestante e maturo, rivede con gli occhi del
mondo le valli, le colline, le viti, i poderi, le vecchie cascine contadine, i
luoghi in cui ha vissuto la giovinezza tra stenti e miserie, ammirando con
spirito servile le padroncine Irene, Silvia e Santa, considerate per lui
inarrivabili.
Il nucleo teorico del romanzo è caratterizzato dalla dialettica
tra la luna, simbolo della regolarità ciclica delle stagioni e dell’immobilismo
del tempo, tipici della cultura contadina, e i falò, simbolo della Storia, dei
cambiamenti, delle trasformazioni, delle distruzioni, che modificano i luoghi,
le cose e i rapporti tra le persone.
La narrazione procede attraverso un duplice punto di vista: quello
di Anguilla, che riscopre le radici nel paese e quello dell’amico falegname
Nuto, rimasto sempre in paese, che crede ancora nella luna e che ha vissuto la
tragica esperienza della guerra civile tra fascisti e partigiani.
Tra memorie e situazioni attuali si avvia un circuito virtuoso,
che consente ad Anguilla di scoprire la bussola che sinora lo ha guidato nel
viaggio della sua vita. Una bussola fatta di odori, sapori, colori, suoni,
superstizioni, che ha portato sempre con sé, appiccicati alla pelle.
Gaetano Bencivinni
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