Mucchi di topi infetti nelle pattumiere di Orano, Prefettura
francese della Costa algerina.
Il morbo pestifero si espande ed avvolge con le sue spire la
città, che chiude le porte per isolare la devastante epidemia. 200 mila abitanti
rimangono così prigionieri del catastrofico flagello.
Nel romanzo La peste, ambientato idealmente intorno al 1940,
l’autore Albert Camus descrive con crudo realismo e con straordinaria efficacia
simbolica le sofferenze della popolazione oranese, dedita agli affari, al
commercio, all’accumulo di denaro. Una città moderna, popolosa, ciarliera,
insipida, abitudinaria, senza anima.
L’angelo della peste con la sua lancia rossa punta le case su cui
si abbatte inesorabile la morte. Nel gorgo della peste accade di tutto.
Incredulità, paura, disperazione, rassegnazione, slanci solidali, atti di
sciacallaggio.
C’è chi considera la peste un castigo collettivo, una punizione
divina per i malvagi. C’è chi mette a repentaglio la propria vita e si fa
partecipe del dolore degli altri. C’è chi gioisce e considera la peste una
ghiotta occasione per lucrare e per sottrarsi alle inchieste della polizia.
La peste, simbolo del male, richiama i conflitti mondiali, i campi
di sterminio, i massacri, i crimini e gli atti di violenza del Novecento.
L’espediente letterario, di cui si avvale lo scrittore, è il
ricorso al narratore che, come un cronista, racconta gli avvenimenti della
peste, di cui è testimone diretto, avvalendosi di appunti e taccuini. Solo alla fine della narrazione si scopre che il
narratore è il dottor Bernard Rieux, protagonista del romanzo.
Il messaggio che lo scrittore trasmette è che il male è quasi
sempre prodotto dall’ignoranza degli uomini, che spesso smarriscono la strada
maestra dell’amore e della pace.
Il male, radicato nel cuore dell’umanità, è sempre lì in agguato,
pronto a colpire con i suoi strali avvelenati.
Il tema della peste si ritrova in tante opere letterarie. Si pensi
al De rerum natura di Lucrezio, al Decameron di Giovanni Boccaccio, a I promessi
sposi di Alessandro Manzoni, a L’opera al nero di Marguerite Yourcenar.
Gaetano Bencivinni
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