Interrogato dal commissario e dal questore, l’uomo della Volvo,
che si era spontaneamente recato al posto di polizia per testimoniare, viene
trattenuto in carcere in attesa che si faccia chiarezza sull’omicidio del
capostazione di Monterosso.
Un treno fermo a poche
centinaia di metri dalla stazione. Un semaforo che rimane rosso per oltre mezz’ora.
Il capotreno chiede all’uomo della Volvo, che si trova a passare per caso, di
recarsi alla vicina stazione per verificare le ragioni dell’inspiegabile
prolungarsi del semaforo rosso.
L’uomo della Volvo riferisce al presunto capostazione quanto gli
era stato chiesto dal capotreno e riprende la sua corsa verso casa per un’altra
strada. Tutto qui.
Quando finalmente la sua posizione viene definitivamente chiarita,
l’uomo della Volvo esce dal carcere ed incontra padre Cricco, un volto noto. Ha
un attimo di esitazione. Quel volto è quello del presunto capostazione. Dunque
il vero assassino è il prete. Vorrebbe tornare indietro per smascherare padre
Cricco. Ci ripensa e preferisce tacere per non rimettersi nei guai.
Questo episodio fa parte della trama narrativa del romanzo Una
storia semplice di Leonardo Sciascia in cui l’autore manifesta tutta la sua amarezza
per i tanti buchi della Giustizia e per le inadeguatezze dello Stato, che
spesso inducono i cittadini a scegliere la via del disimpegno.
Il quadro che l’autore fornisce sulla funzionalità degli apparati
statali in Sicilia è allarmante: il commissario è coinvolto con le cosche
mafiose, il procuratore della Repubblica è un perfetto idiota, padre Cricco è
un assassino.
Al professor Franzò, alter ego di Sciascia, non rimane che
pronunciare questa amara considerazione: in Sicilia non è la speranza l’ultima
a morire, ma è il morire l’ultima speranza.
Gaetano Bencivinni
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