Un intellettuale di Cetraro a Bologna si muove tra le pieghe
dell’anima dell’ultimo Vicario benedettino
Una rete di
suggestioni teologiche, storiche, filosofiche, lascia intravedere tra le sue
maglie la storia dell’ultimo Vicario
benedettino e la vita di un feudo del Sacro Monastero negli anni a cavallo tra
il XVIII ed il XIX secolo.
Il Vicario
si pone le domande dell’uomo di sempre, arrovellato dalla paura della morte:
cosa dopo la morte? Qual è, dove è la verità? La realtà è oggettivamente
percepibile o è solo illusione? Come estirpare il dolore? La scrittura, l’arte,
hanno funzione catartica come la tragedia greca?
Questi gli
interrogativi del romanzo di Enzo Pellegrino Come un’ombra d’amore. Memorie dell’ultimo vicario.
Scrittura e arte come catarsi
No! Al
nostro Vicario non serve la scrittura per fugare angosce e fantasmi che lo tormentano tutte le notti. Il fantasma di
Marta, la donna amata nella giovinezza, i dubbi della fede, il desiderio di
morte come muore una mosca nella soffice
coltre di ragnatela.
Nel caos del
mondo non riesce ad usare la penna come un bisturi per estirpare il grumo
angoscioso che lo soffoca.
A fare chiarezza
in se stesso, a purificarsi non serve neppure l’arte al nostro vicario. La
copia del Cristo crocefisso di Grunewald, figura
pustolosa e sanguinante, urlante, contorta come un tronco d’albero divelto
dalla bufera, non lo purifica dagli stati emotivi che lo opprimono.
Consumatum est. Anche per me questa lenta agonia di residua esistenza : dilagante
tramonto che dispera nell’alba.
No, il
nostro vicario, chiuso nel cerchio di se stesso, non coglie il senso della
croce, segno di vita e speranza di salvezza
e invito a prendere su di sé la croce della propria vita. Non può
cogliere il messaggio della croce di Cristo perché non riesce ad accettare se
stesso, il negativo che c’è dentro di sé, la sua ombra, gli aspetti della natura istintiva, che non ha vissuto
perché incompatibili con la vita che ha
scelto.
L’ombra non riconosciuta e accettata lo
minaccia, non è fonte di nuova energia.
Trasferire
sulla tela l’ansia del cuore ha solo una volta tacitato le voci , suo tormento
notturno.
Un po’ come fra’ Tommaso
Illuminante
l’immagine finale de Il visconte
dimezzato di Italo Calvino. Il Buono e il Gramo, le due metà separate di Medardo Visconte di Terralba,
diviso in due in una guerra contro i turchi,
lottano all’ultimo sangue e, quando il loro sangue si mescola, e il
dottor Trelawney fa di due un corpo solo, continuano a lottare tra la vita e la
morte, ma infine diventano “un uomo intero , né cattivo né buono , un miscuglio
di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima
di esser dimezzato. Ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà rifuse
insieme, perciò doveva essere ben saggio.”
Un uomo
intero, capace di forti passioni, di lottare per ciò in cui crede e che ama, che ha individuato il proprio
progetto di vita e lo segue, che talvolta tentenna, ma va fino in fondo.
Un po’ come
fra Tommaso, mingherlino e allampanato
fraticello di Sceuza che quando tuona dal pulpito, anche le colonne dell’abside
tremano e gli animi dei bifolchi s’infiammano. La proprietà è un furto, la ricchezza causa di malcostume, tuona dal
pulpito il meschinello . I frutti son di tutti e la terra di nessuno.
Di lui il
vicario invidia la determinazione e la vis oratoria. A fronte dei dubbi che
l’affliggono credere in un progetto,
ancorarsi a una idea, così, senza il tarlo del dubbio, nutrire una passione
forte, avere uno scopo preciso, insomma qualcosa per cui valga la pena
combattere rischiare tutto, persino la vita … Come avrebbe dovuto fare con
Marta l’amore della sua giovinezza , tormento e rimorso della sua esistenza. … E predicare dal pulpito verità e certezze.
Ma la verità dov’è, cos’è?
Ma la verità dov’è, cos’è? chiede a padre Norbert, un pozzo di
saggezza, che parla per metafore e
parabole e legge i libri proibiti che vengono dalla Germania.
E’ una
questione di punti di vista, risponde. Non esiste la verità, ma tante verità .
Strano modo di risolvere il problema da parte di un monaco cristiano!
E’ la
risposta di un filosofo, ma filosofia e religione possono camminare insieme, ma ad un certo punto le loro strade si separano. La
religione va oltre, propone sempre un messaggio ed un itinerario di
salvezza che coinvolgono tutta la vita
dell’uomo.
Non possono
stare insieme il filosofo e l’apostolo. L’apostolo non può accettare che ci sia
il nulla dopo la morte.
L’apostolo Paolo, accanito e crudele persecutore dei
cristiani, è tra coloro che approvano
l’uccisione di Stefano il quale , prima di morire, ripercorre la storia della
salvezza con le parole della Legge e dei
profeti, e Saulo non resiste alla sua sapienza ispirata.
“Dio vi farà
sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me… I vostri padri
uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora
siete divenuti traditori e uccisori” ( At 7) .
Nell’andare
a Gerusalemme, dove conduce in catene
uomini e donne cristiani, sulla via di Damasco
lo avvolge una Luce dal cielo, cade a terra insieme a tutte le sue
certezze. Reso umile, può finalmente ascoltare
la voce di Gesù. E’ disorientato. Non è facile assistere al crollo di
tutte le sue certezze. Rimane tre giorni senza vedere e senza prendere cibo né
bevanda. E’ in lotta. Finalmente ancora l’intervento dall’Alto fa cadere le
squame dagli occhi. Vede, risorge a
nuova vita,rilegge la Scrittura alla luce della risurrezione e proclama e annuncia: Gesù è figlio di Dio. “A
noi è stata mandata questa parola di salvezza … la promessa fatta ai nostri padri
è compiuta” ( At 13).
Ma il
relativismo non può acquietare i dubbi e
gli interrogativi del Vicario. Il nostro Vicario dispera
nell’alba. C’è un altrove o l’assoluto nulla? Il dubbio continua a roderlo
come un tarlo. Il nulla o una soffice
ragnatela in cui abbandonarsi fiducioso?
Per Artù, il cavallo tanto amato, scrive
questa lapide Bestia generosa e fiera,
risucchiata nella ragnatela a dispetto del Nulla …
Strappare il velo di Maya che incanta e
inganna, potrebbe portare il vicario alla conoscenza del vero mondo, occultato
da un velo, e strappare così il dolore.
La vita del feudo
Solo
l’affaccendarsi per il governo del feudo
allontana di giorno i fantasmi e l’aiuta a vedere se stesso e il mondo intero
per quello che realmente siamo: un
groviglio di intrighi e di anime perse, senza speranza di salvezza, senza un
briciolo di verità.
Briganti nelle campagne, un
vascello pirata alla punta del capo, due morti ammazzati alla Mortella, clerici
vagantes, che insufflano eresie, tasse da riscuotere e processi da istruire de
stupro et raptu o propter impotentiam coeundi … confratelli inaffidabili e
litigiosi , servi nell’animo, figli cadetti in cerca di un beneficio e qualche
masnadiero convertitosi all’uopo per sfuggire alla giustizia regia …
Ma ciò non
rende conto della vita che qui realmente
si è svolta e ancora si svolge nel feudo: tanti mastri artigiani, funari e
canapari, carpentieri e forgiari, muratori, scarpari, marinai e pescatori. E
anche mastri trattori che dal bozzolo ricavano la seta, portata poi con le
tartane alle soavi maestà d’altri regni.
L’abominio della Croce
Gli
interrogativi del Vicario, non si fermano. Perché l’abominio del sangue innocentemente versato?
La risposta
è nella Croce suggerisce l’anacoreta. Il Crocifisso verrà glorificato. Questa
l’incrollabile fiducia del credente in Dio che alla fine dei tempi “tergerà
ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né
affanno, perché tutte le cose di prima sono passate” (Ap 21, 3s).
L’irruzione della Storia nel
feudo
Ma ecco che la storia irrompe nella vita del feudo
del Sacro Monastero e lo scardina: gli echi del pensiero illuminista, la rivoluzione del’99, la carneficina
dell’esercito della Santa Fede, poi i moti per ottenere la costituzione o
l’indipendenza …
Saranno le iene e gli sciacalli,
sedicenti rivoluzionari, ad affondare gli artigli nelle terre del Sacro e Regio
Monastero, pensa il Vicario.
Sciacalli, lupi famelici … Si
spacciano per rivoluzionari, si fanno chiamare costituzionalisti o repubblicani
o monarchici, non si sa bene, ma sono soltanto iene e sciacalli. Gli fa eco fra’ Tommaso.
Anche voi.. ribatte il Vicario. Io parlavo di pane e giustizia, di terra e
libertà, che sono cose concrete …
Il fantasma di Marta
Intanto
nella vita del Vicario sembra materializzarsi il fantasma di Marta nelle vesti
di Giulia, la figlia, che tanto gli
somiglia.
Mio vecchio Vicario, quando
aprirete questa busta, forse io non sarò più …
Lo scritto di Marta lo mette faccia a faccia con l’ombra che aveva così
bene occultata dentro di sé: indolente, pigro, obbediente solo a se stesso,
incapace di assumersi troppe responsabilità, sempre pronto a camuffare con astuzia, gabellando per dubbio ciò che era solo pigrizia.
Le lettere
ingiallite di Marta disegnano la parabola discendente dell’ultimo Vicario. Prima
carismatico predicatore di speranze e resurrezioni, poi confessore insofferente
e indifferente dispensiere di assoluzioni
rapide e penitenze lievi, infine predicatore del Nulla.
La vita, una
conchiglia vuota fatta di solitudine,…
un triste sentiero di cipressi
nebbiosi, inutili giavellotti con la pretesa di bucare il cielo costretti nel
soffocante abbraccio della terra.
Sembra fargli eco Marta in una lettera ingiallita.
Come
in un palcoscenico
Le elucubrazioni del vicario prendono corpo e
irrompono davanti a lui come in un palcoscenico.
Il
peripatetico, che discetta sulla sofferenza del Cristo sulla croce. Se noi
crediamo in un Dio Uno e Trino, allora sulla croce ha sofferto ed è morto Dio stesso. Questa concezione, che è stata condannata dalla Chiesa, arrovella la sua mente. “ No sulla croce, non
è morto Dio stesso, il Padre , afferma il teologo svizzero Hans Kung, ma il Messia e il Cristo di Dio,l’Immagine,
la Parola e il Figlio di Dio”. Il Figlio di Dio”fu crocifisso nella sua
debolezza, ma vive per la potenze di Dio”(2Cor 13,4). Di fronte al dolore dell’innocente, Kung suggerisce la teologia del silenzio e
cita “la lapidaria parola della
Scrittura che chiude il racconto della morte dei due figli di Aronne uccisi dal
fuoco di Dio: “E Aronne tacque”( Lv 10, 3).
Il
rappresentante dei santi che ha nel suo catalogo non il San Benedetto con
mitria e pastorale simboli di una Chiesa
trionfante, legata al potere e potere essa stessa, ma un vecchio calvo, penitente, con barba lunghissima,
scavato in volto.
Epilogo
Nell’epilogo della sua vita l’ultimo Vicario intesse
un ultimo dialogo con Marta :la paura, il rimpianto per la vita sprecata e i fantasmi che lo attanagliano di notte. La
difesa? Convivere con la propria ombra, suggerisce Marta. Il fantasma di Marta sparisce e il Vicario
recita le parole dell’apostolo “Senza la misericordia di un Dio, nessuno si
riscatta dal suo passato”.
Con una preghiera al Dio onnipotente, clemente, misericorde si
conclude la vicenda terrena dell’ultimo Vicario. Che gli sia vicino, gli sia
compagno nella solitudine di cui la morte si avvolge.
Rosa Randazzo