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lunedì 31 marzo 2014

L'amore ai tempi del colera

Il romanzo di G.M.Marquez, già premio Nobel per la letteratura, è uno splendido affresco in cui si dipana mezzo secolo di storia nella complessa magica città di Cartagena in Colombia, ove” i mandorli in fiore sono biglietti d’amore” ed ove colori, odori, sapori musiche sono parte integrante della vicenda.
Fermina Daza, bellissima, intelligente, orgogliosa e Florentino  Ariza, sensibile ed introverso, con inclinazioni poetiche vivono una innocente storia d’amore alimentata da sguardi e lettere romantiche. Le loro vite vengono anche separate dalla volontà del lei padre e dopo qualche tempo Fermina sposerà Juvenal Urbino, illustre medico epidemiologo che si prodiga per  sconfiggere il colera. La coppia avrà unione stabile ma non pienamente felice.
Florentino vive in modo traumatico l’abbandono soffrendo anche nel fisico: è come se avesse il colera, morbo che attraversa l’intero romanzo con la sua drammatica presenza. Egli diventa proprietario di una compagnia di navigazione fluviale; nel corso degli anni per attenuare il suo tormento amoroso vive innumerevoli avventure sentimentali,  ma con il pensiero rivolto sempre “alla sua dea incoronata” Sa attendere Florentino e lo fa per 53 anni, 7 mesi ed 11 giorni, sino alla morte di J. Urbino .Dichiara il suo amore a Fermina con lettere appassionate in cui sono presenti riflessioni sulla vita e su quella stagione che coincide con la vecchiaia in cui il consapevole peso della solitudine porta ad accettare i limiti e i difetti dell’altro.  Le dice che il corpo invecchia prima di quanto succede al cervello e che l’amore può trovare un gratificante equilibrio proprio in una età avanzata, basta solo superare gli imbarazzi ed i condizionamenti indotti .Riuscirà a convincere Fermina ed insieme intraprendono il viaggio della l loro vita sul battello fluviale della compagnia ed, issata la bandiera gialla simbolo del colera, vagano per il fiume e nel mare, sotto il sole cocente dei Caraibi dove tutto profuma d’estate e di fiori e dove prolifera il colera. 
Il romanzo, il cui vero protagonista è l’amore nelle sue molteplici manifestazioni umane, ha una narrazione corposa, fiabesca, a volte intricata, elaborata, fatta di salti temporali e di invenzioni letterarie, ma è assolutamente avvincente con personaggi indimenticabili che l’Autore ha saputo descrivere con una straordinaria capacità  di introspezione psicologica ed ironia.
  
Marina Marasco

sabato 29 marzo 2014

Il dramma di Ida Ramundo

C’è molto pessimismo nel romanzo La storia di Elsa Morante. Tutti i personaggi vengono travolti dall’inesorabile procedere della storia, che maciulla i miserabili e li trasforma in miseri avanzi da dare in pasto agli avvoltoi.
Il romanzo, ambientato a Roma tra il 1941 e il 1947, non dà adito alla speranza di riscossa dei derelitti, condannati a subire le angherie di chi spreca, di chi comanda, di chi sta dalla parte dei poteri forti.
La scrittrice descrive con crudo realismo le miserie, le sofferenze e i dolori prodotti dal conflitto mondiale, dal Fascismo, dal Nazismo, dalla persecuzione degli Ebrei, scandalosa macchia dell’umanità.
Ida Ramundo, di madre ebrea e di padre calabrese, viene violentata da un soldato tedesco di passaggio e rimane incinta.
Il piccolo bastardo Giuseppe, detto affettuosamente Useppe, cresce rachitico e denutrito e muore in tenera età, stroncato da una forma grave di epilessia. Il fratello maggiore Nino, considerato da Ida l’uomo forte della famiglia dopo la prematura morte del marito Alfio Mancuso, muore da contrabbandiere, dopo essere stato un accanito fascista prima ed un acceso partigiano dopo.
Ida, donna di sani principi, costretta a rubare per sfamare il piccolo Useppe, sopravvive mangiando bucce, rimasugli e persino mosche e formiche in quel contesto di miseria della Roma dominata dai Tedeschi.
L’assalto di Ida e delle donne romane ad un camion tedesco, carico di sacchi di farina, ricorda molto da vicino l’assalto ai forni milanesi di manzoniana memoria.
Tutte le sventure si abbattono su Ida, che perde il senno, disperata per la morte del suo piccolo bastardo.
Con il personaggio Useppe, vero protagonista del romanzo, Elsa Morante pone la questione della tutela dei bambini, che spesso sono le principali vittime delle sciagurate scelte dei potenti del mondo, guidati dalla perversa e ferrea logica del dominio.
Per la scrittrice non c’è scampo nel modo contemporaneo. La ragione non è in grado di opporsi alla catastrofe. La follia è l’unica prospettiva di pace, come è avvenuto per Ida, rinchiusa in un manicomio per nove anni fino alla morte.
Un messaggio amaro che fa riflettere il lettore sulle tante tragedie dell’umanità e sui mali del mondo.

Gaetano Bencivinni


venerdì 28 marzo 2014

Hermann Hesse, un grande scrittore

Hermann Hesse, nato a Calw  nel 1877, è considerato uno dei maggiori  scrittori  tedeschi  del ‘ 900. Autore di romanzi come “Siddharta”, “Il lupo della steppa”, “Il gioco delle perle di vetro”,  “Gertrud”  ed altri ancora , fu insignito nel 1946 del premio Nobel  per la letteratura. Il suo interesse per il misticismo orientale e per quegli aspetti dell’animo umano che sfuggono al controllo della razionalità, ne fa un autore sempre attuale, di grande stimolo per i giovani.
Nella  nota introduttiva al romanzo “Siddharta”  il traduttore Massimo Mila esplica cognizioni generali  sulle religioni e sulla cultura d’oriente, annotando di averle ricavate da un quaderno di un allievo del filosofo Piero Martinetti. Inizia l’introduzione dicendo che i  tedeschi  usano l’espressione “ der  Suchende “ (colui che cerca)  per  designare quelle persone che non s’accontentano  della superficie delle cose, perché di ogni aspetto della vita  vogliono, ragionando, andare in fondo e rendersi  conto di se stessi, del mondo, dei rapporti  tra loro e il mondo. Quel  cercare, che è già di per  sé  un  trovare, disse uno dei più illustri  fra questi  “ cercatori “, e precisamente S. Agostino. Quel cercare che è in sostanza  vivere  nello spirito.  “ Suchende “ sono quasi tutti i  personaggi di Hesse : gente inquieta e bisognosa di certezza, gente che cerca  l’Assoluto, ossia  una verità   su  cui fondarsi  nell’universale  relatività  della  vita e del mondo e tale assoluto trovano, se lo trovano, in se stessi . Chi è  Siddharta ? E’ uno che cerca  e cerca  soprattutto di vivere intera la  propria  vita. Passando di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla  meditazione filosofica alla vita degli affari  e non si ferma presso nessun  maestro, non considera definitiva  nessuna acquisizione, perché ciò che  va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti .
“ Siddharta “ è un breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta  nel  1922 .
L’opera che per  prima impone Hesse all’attenzione del  pubblico è “ Peter  Camenzid “, tradizionale  romanzo di formazione per il quale ottiene il premio Bauernfeldpreis.
Il  romanzo risente delle suggestioni dei viaggi di Hesse in Italia,in un Sud  mitizzato, che  riconcilia  l’uomo con la  natura  e offre un’alternativa alla  decadenza  della civiltà  europea.
Questo culto dell’Italia  si  identifica in particolare con la figura  di  San  Francesco, della quale Hesse  approfondisce  la sua curiosità  in un saggio  biografico. L’incontro  con Francesco fu propiziato all’autore dalla sua ricerca di libertà, che gli fu propria fin dall’infanzia e dalla fuga dal seminario evangelico di  Maulbronn , avvenuta nel 1892 . Durante i suoi due viaggi  in Italia Hesse non  mancò di recarsi ad Assisi  avendo, forse, a guida il Poverello di Assisi come antesignano  della libertà di coscienza, interprete originale del messaggio cristiano.
E’ durante i due soggiorni italiani del 1901 e del 1903 che Hesse maturò  il saggio “Francesco d’Assisi “, in cui spicca la figura materna  e sorridente  di Domina  Pica, la mamma di Francesco. Come Francesco, Hesse sta dalla parte di Pica. Ci sembra di avvertire una  sorta di nostalgia per la mamma che avrebbe voluto. La sua, forse, non aveva quelle doti che ammirava nella madre di Francesco. Hesse ripercorre l’intero arco dell’esistenza di Francesco, che è l’homo novus, il  nuovo Adamo. E’ da lui che riparte il rinnovamento dell’arte e della poesia. La  novità della figura di Francesco è nella sua rivendicazione della paternità divina quando restituisce  al padre Pietro di Bernardone persino i  vestiti: una rivendicazione profonda, sofferta, che   lo pone nella condizione di alter Christus. Hesse comprende che è qui il  nocciolo della novità della figura di Francesco nella storia dell’umanità: in lui si ricompone il circolo della creazione. La  ritrovata fraternità con la natura si espanderà in un canto, le “Laudes creaturarum” che anche nella storia della poesia e della lingua italiana apre un’epoca nuova.

Marietta  Gallo          

giovedì 27 marzo 2014

Agosto 1938

Un carrettiere socialista viene massacrato a Lisbona dalla polizia. La stampa tace. La città puzza di morte. Tutta l’Europa puzza di morte. Le leggi razziali arrivano anche in Portogallo e mietono il panico.
Pereira, responsabile della pagina culturale del Lisboa, vive rintanato nel guscio protettivo della letteratura. Si considera un intellettuale indipendente e come tale non si occupa di politica. Fuori la dittatura salazarista impone le sanguinose regole del regime poliziesco.
Pereira è ossessionato dall’idea della morte e dal timore di essere eretico, perché non crede nella resurrezione della carne. Parla con il ritratto della moglie, morta di tisi qualche anno prima, e si affida ai consigli del parroco don Antonio, che cerca di aprirgli gli occhi sulle tragedie dell’Europa: nazismo, fascismo, guerra civile in Spagna.
L’evento che sconvolge la vita di Pereira è l’incontro con il giovane Francesco Monteiro Rossi, che assume come collaboratore esterno della pagina culturale.
Il giovane e la sua ragazza Marta lo trascinano lentamente nel gorgo di complicità sovversive, che si concludono con l’assassinio di Monteiro Rossi da parte della polizia politica, avvenuto nella casa di Pereira.
Il giornalista si scuote dal torpore e compie la scelta coraggiosa di scrivere un feroce articolo contro la dittatura, che pubblica nel suo giornale, ricorrendo ad un ingegnoso espediente, che gli consente di beffare la censura. Dopo si rifugia in Francia con un passaporto falso.
Il romanzo Sostiene Pereira punta i riflettori sul rapporto tra intellettuale e politica e sulla necessità per ogni giornalista di informare correttamente l’opinione pubblica anche quando diventa rischioso raccontare la verità.


Gaetano Bencivinni

mercoledì 26 marzo 2014

Chianta ‘nu mapu


E’ consuetudine fatale degli uomini cantare le lodi dei loro simili quando ormai non ci sono più. Allora si dice ogni bene di loro: che in vita sono stati dei galantuomini esemplari, buoni, rispettosi, caritatevoli, generosi, onesti, portatori delle quattro virtù cardinali e delle tre virtù teologali.
Voglio, per una volta, andare controcorrente e cantare le lodi di una nobildonna viva e vegeta, una volta molto nota, ma adesso poco conosciuta e considerata in paese: donna Lisetta.
 Sono andato a farle visita recentemente più volte, insieme a mia moglie, nella sua annosa casa materna. Sul frontespizio, accanto al portone d’ingresso, è ancora visibile un antico affresco, raffigurante la Pietà, sbiadito dalle intemperie e dagli anni. Donna Lisetta mi dirà che una volta l’ha fatto restaurare e che, ancora oggi, molte coppie di sposi, dopo la cerimonia nuziale, vengono lì a farsi fotografare.
Lei mi attende dietro i vetri del balcone: mi scorge, scompare, corre ad aprire il portone. Salgo due piccole rampe di scale e lei è già sulla soglia della porta d’ingresso ad accogliermi con un abbraccio. Mi riceve familiarmente nel piccolo tinello privato che in me suscita antichi ricordi.
Ho preso appuntamento con lei per chiederle notizie in occasione del centenario della nascita dell’illustre marito, senatore Giuseppe Mario Raffaele Ferdinando Militerni.
Rivedo, con una certa emozione, la donna eroica e silenziosa che ha consentito al più noto marito di sottrarre alla famiglia buona parte della sua breve esistenza, per dedicarla alla comunità. Oggi ultranovantenne abita, per sua autonoma scelta, da sola. Agile, lucidissima di mente, dotata di un eccezionale senso dell’ironia e di un’altra virtù che, in questi tempi di crisi, si fa molto desiderare in mezzo alla gente: l’ottimismo.
Donna Lisetta attende alle faccende di casa in perfetta autonomia: cucina, rassetta il letto, riceve gli amici, li accoglie con simpatia e cordialità. Proprio come una volta, quando viveva il marito e la casa era aperta a tutti, a tutte le ore. Una donna le rende, al mattino, soltanto i servizi più pesanti attinenti alla manutenzione generale della casa.


Così com’è usanza quando si fa visita a una persona anziana, le ho portato delle arance e dei mandarini, orgoglio e vanto del mio giardino. Rimaniamo a parlare e ricordare per circa due ore, poi le chiedo di fare delle foto nello studio di don Peppino, mio maestro di vita e compare d’anello. Per accompagnarmi nello studio, deve necessariamente scendere quattro gradini di antica fattura: meglio sarebbe definirli gradoni.
-Vi aiuto! Appoggiatevi!.. - Le dico offrendole un braccio.
- No! No! Grazie, non voglio! Mi abituerei! - risponde con fierezza e scende giù con movimenti rapidi, a lungo collaudati e studiati. La stessa risposta mi rivolge quando, rientrando, istintivamente oso farle la stessa offerta. Ci congediamo sul limitare dei gradoni mentre mi raccomanda di tornare presto, accompagnando le parole con un gesto molto eloquente della mano.
 


Torno a trovarla nella settimana successiva e mi riceve ancora nel raccoglimento del tinello, accanto a una stufetta con un solo elemento acceso cui tende di tanto in tanto una mano. Non avverte il freddo che in questi giorni infuria all’esterno. I muri dell’antico edificio sono molto spessi e la casa, mi dice, è sempre calda. Mi tesse l’elogio delle arance e dei mandarini che le ho portato la volta scorsa. Poi, nell’atteggiamento di chi sta per dire una cosa particolarmente importante, sillabando le parole soggiunge:
- Gino, devi piantare un “mapo”, - e mi spiega le qualità eccezionali di questo frutto, entrato da poco a far parte dei nostri agrumeti, riferendo con rammarico, che lei ne aveva una pianta in campagna ma è seccata.
- Donna Lise’ - rispondo - ormai che lo pianto a fare? E’ troppo tardi per me, e i miei figli vivono a Roma! La mia giovinezza avanzata non mi consentirebbe di raccoglierne!
- Chianta ‘nu mapu!.. - insiste decisa, scandendo le sillabe, quasi contrariata della mia pessimistica risposta. Me lo dice questa volta in dialetto, forse perché, in una seconda lingua, io possa finalmente comprendere. Poi, con aria solenne e nello stesso tempo serena, alzando l’indice della mano destra verso di me :
- Devi piantarlo e… il primo frutto, il primo, ti raccomando, lo devi portare a me!
            Il suo ottimismo bonario, garbato e deciso mi lascia di stucco: mi arrendo. Ci salutiamo dopo aver prima concordato di rivederci il giovedì successivo. I novant’anni e passa… di donna Lisetta, vissuti con tanto vigore di ottimismo, mi hanno messo di buon’umore!
            In seguito a quel colloquio e a quella lezione di vita, sapete che ho fatto?
Ho piantato un mapo!..

Luigi Leporini

lunedì 24 marzo 2014

Fabrizio del Dongo, gendarme e monsignore

Intrighi di corte nel Ducato di Parma nel fosco scenario della Restaurazione. Amori, passioni, violenze, sogni, illusioni e scoppiettanti colpi di scena.
I personaggi del romanzo La certosa di Parma di Stendhal si muovono nel complesso e contraddittorio trapasso dall’età napoleonica alla Restaurazione in un’atmosfera cavalleresca e fantasiosa, tra maneggi politici, corruzioni e dissolutezze, che ricordano la Roma dei Borgia.
La duchessa Gina Pietranera, dolce, affascinante e diabolica, innamorata del nipote Fabrizio e pronta a tutto per aiutarlo. Il conte Mosca, politico navigato ed intrigante, prigioniero della passione per Gina e disposto a mettere in discussione persino la carriera politica per la splendida duchessa. Clelia Conti, timida ed ostinata, cede alle lusinghe amorose di monsignor Fabrizio, disposta per lui  persino a mettere a rischio la salute del figlioletto Sandrino, frutto della loro relazione.
Fabrizio, ingenuo, capriccioso, viziato e super protetto dalla zia Gina e dal conte Mosca, che ne programmano l’esperienza ed il destino.
A sedici anni Fabrizio, ammaliato dal fascino dell’astro napoleonico, si reca in Francia in contrasto con la volontà del padre, un nobile lombardo filo austriaco. Partecipa alla battaglia di Waterloo e lì si infrange il sogno romantico di gloria: viene derubato dai commilitoni, viene scambiato per una spia, viene messo in prigione. Evade con l’aiuto di una donna e si ritrova nel mezzo della battaglia dove gli viene sottratto il cavallo e perde persino l’occasione di vedere da vicino l’amato Imperatore, che gli sfreccia davanti proprio mentre è intento a bere un bicchiere di acqua vite.
Diventa monsignore, per merito della oculata regia di Gina e del conte Mosca, e rischia di compromettere la sua carriera ecclesiastica a Parma, perché viene preso da un capriccio amoroso per l’attrice Marietta. La vicenda lo trascina verso l’uccisione del rivale Giletti, attore amante di Marietta. Finisce in prigione nella torre Farnese di Parma, evade con l’aiuto di Gina e viene riabilitato con l’autorevole intervento di Mosca, primo ministro del Ducato di Parma.
Chiude la sua vita nell’ascetica Certosa di Parma dove rimane per un anno prima di morire.
Un  romanzo storico brillante e scoppiettante, che lo scrittore francese offre al lettore in un raffinato scrigno avvolto da una sottile ironia, che rende leggera persino la morte dei personaggi, che diventa un normale trapasso a miglior vita.


Gaetano Bencivinni 

Per amore, solo per amore


Consiglio la lettura del romanzo ”Per amore, solo per amore” di Pasquale Festa Campanile, tra i piu sensibili talenti letterari degli ultimi decenni del 900. L’ambiente in cui si svolge la vicenda è quello della Palestina al tempo della nascita di Gesu’ ed i luoghi sono quelli noti della storia Sacra :Nazareth, Betlemme……Come si evince dal titolo è la storia di un grande amore, quello tra Giuseppe e Maria L’autore in modo laico, senza però discostarsi dalla tradizione cristiana, con efficacia narrativa racconta la vicenda umana di Giuseppe , bello amato dalle donne, brillante, valente artigiano la giovanissima Maria  dolce e verginale. Per Giuseppe è subito amore, coinvolgente e totale. Entrambi sono creature che hanno sentimenti e passioni, soffrono la gelosia sono assaliti da angosce e dubbi come accade nel momento della misteriosa gravidanza di Maria. L’evento sconvolge la loro vita specie quella di Giuseppe che, in questa situazione, si erge a protagonista mostrando la sua grandezza d’animo ed  una sensibilità di uomo contemporaneo. Non senza drammi interiori infine opera la sua scelta accettando il miracolo . Non è un racconto mistico, non una storia sacra, ma un rapporto di coppia che pur nella sua eccezionalità non evoca suggestioni spirituali .E’ la storia di un sentimento autentico, assoluto che si sublima nel sacrificio delle passioni umane per un amore che non si incrina neanche difronte ad una situazione che per chiunque sarebbe sembrata incresciosa.

Marina Marasco