C’è molto pessimismo nel romanzo La storia di Elsa
Morante. Tutti i personaggi vengono travolti dall’inesorabile procedere della
storia, che maciulla i miserabili e li trasforma in miseri avanzi da dare in
pasto agli avvoltoi.
Il romanzo, ambientato a Roma tra il 1941 e il 1947, non dà adito
alla speranza di riscossa dei derelitti, condannati a subire le angherie di chi
spreca, di chi comanda, di chi sta dalla parte dei poteri forti.
La scrittrice descrive con crudo realismo le miserie, le
sofferenze e i dolori prodotti dal conflitto mondiale, dal Fascismo, dal
Nazismo, dalla persecuzione degli Ebrei, scandalosa macchia dell’umanità.
Ida Ramundo, di madre ebrea e di padre calabrese, viene violentata
da un soldato tedesco di passaggio e rimane incinta.
Il piccolo bastardo Giuseppe, detto affettuosamente Useppe, cresce
rachitico e denutrito e muore in tenera età, stroncato da una forma grave di
epilessia. Il fratello maggiore Nino, considerato da Ida l’uomo forte della
famiglia dopo la prematura morte del marito Alfio Mancuso, muore da
contrabbandiere, dopo essere stato un accanito fascista prima ed un acceso
partigiano dopo.
Ida, donna di sani principi, costretta a rubare per sfamare il
piccolo Useppe, sopravvive mangiando bucce, rimasugli e persino mosche e
formiche in quel contesto di miseria della Roma dominata dai Tedeschi.
L’assalto di Ida e delle donne romane ad un camion tedesco, carico
di sacchi di farina, ricorda molto da vicino l’assalto ai forni milanesi di
manzoniana memoria.
Tutte le sventure si abbattono su Ida, che perde il senno,
disperata per la morte del suo piccolo bastardo.
Con il personaggio Useppe, vero protagonista del romanzo, Elsa
Morante pone la questione della tutela dei bambini, che spesso sono le principali
vittime delle sciagurate scelte dei potenti del mondo, guidati dalla perversa e
ferrea logica del dominio.
Per la scrittrice non c’è scampo nel modo contemporaneo. La
ragione non è in grado di opporsi alla catastrofe. La follia è l’unica
prospettiva di pace, come è avvenuto per Ida, rinchiusa in un manicomio per nove
anni fino alla morte.
Un messaggio amaro che fa riflettere il lettore sulle tante
tragedie dell’umanità e sui mali del mondo.
Gaetano
Bencivinni
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